L’agghiacciante testimonianza di una vicina: «Quel povero bimbo era lì, sul tavolo della cucina, avvolto dalle fiamme»

«Se muoio, fate giustizia: è stato M., mi ha buttato addosso la benzina e mi ha dato fuoco. E adesso lasciatemi morire». Lo ha raccontato così, Nicoletta, con la lucidità di chi si sente sfinito, cercando di raccogliere le ultime forze pochi istanti dopo che i vicini avevano spento le fiamme che la avvolgevano, un’ora prima di andarsene per sempre, coperta di piaghe in una stanza d’ospedale, dove ancora il figlioletto lotta contro la morte. Mattias, poco più di tre mesi, un fagottino bianco difficile da individuare nell’inferno scoppiato in cucina. La vicina che l’ha salvato s’è lasciata guidare dal suo pianto e ancora adesso inorridisce: «L’ho visto lì sul tavolo, bruciava, bruciava, poer picinì».Piange Anna Carrara, 55 anni, si mette le mani nei capelli adesso che racconta tra i singhiozzi: non si dà pace, non riesce a farsene una ragione, come se davvero ci fosse una ragione in questa tragedia che sembra avvitarsi su se stessa. È stata lei, che abita a fianco, la prima a sentire le grida. «Erano le tre e un quarto – spiega – ero in casa col mio nipotino, quando ho sentito le urla. Non mi sembravano umane, mi parevano quelle di un cane, non riuscivo a capire che cosa stesse accadendo. Sono uscita e ho visto M. che scappava giù per le scale del cortile. Mi sono detta: "Boh, c’è qualcosa di strano"». «Poi ho visto il fumo uscire dall’appartamento e ho pensato che M. stesse correndo a chiedere aiuto. Non sapevo ancora quello che era successo».Anna corre verso l’abitazione, pochi metri e si trova di fronte Nicoletta che si sta contorcendo a terra, avvolta dalle fiamme. «Era sul pianerottolo, farfugliava qualcosa che non riuscivo a capire - continua la donna - mi sono avvicinata, poi ho intuito che c’era anche Mattias. "Dov’è il bambino? Dov’è il bambino?", urlavo, ma non riuscivo a capire cosa mi diceva Nicoletta. Ho intuito che poteva essere all’interno, così sono entrata. C’erano fumo e fiamme, non si vedeva nulla, faticavo a respirare. Sentivo Mattias piangere, ma non capivo dove era. Sono andata in salotto, sapevo che lì c’era la culla, ma era vuota. Così sono tornata indietro, verso l’uscita e l’ho visto lì...».Adesso Anna fa una pausa, si passa le mani nei capelli, abbassa il viso quasi a nascondere le lacrime che sono tornate a scorrere. «...era lì, poer picinì, era lì avvolto dalle fiamme sul tavolo della cucina. Piangeva, poverino, piangeva. L’ho preso, mi sono scottata le mani. Volevo togliergli il vestitino, ma non si staccava dalla pelle. Così ho cercato dell’acqua, gli ho versato addosso un bicchiere, ma non era sufficiente. Ho preso una bottiglia, non riuscivo ad aprirla per l’agitazione. Poi ce l’ho fatta, gliel’ho buttata addosso, le fiamme si sono spente. L’ho preso, l’ho avvolto in alcune salviette, piangeva, piangeva ancora, ma voleva dire che era vivo».La vicina esce col bimbo in braccio, corre a casa sua, mentre qualcuno ha già allertato i soccorsi. L’ambulanza arriva in pochi minuti, ma ad Anna sembrano un’eternità. «Giravo col bambino in braccio, speravo di sentire le sirene, andavo a casa mia, poi uscivo in cortile, l’ho tenuto sempre con me, poer picinì. Là dentro ci sono ancora le sue scarpine, le sue calzine tutte bruciate».Intanto è accorso anche il marito di Anna, Ippolito Carrara, 64 anni, che al momento della tragedia era in garage. Lui si getta in soccorso di Nicoletta. «Era a terra, si rotolava nel prato, si contorceva tutta - ricorda l’uomo - Urlava, aveva addosso una giaccavento nera avvolta dalle fiamme. Le ho tolto i vestiti, mi sono bruciato le mani (è stato medicato all’ospedale di Gazzaniga e gira con una vistosa fasciatura alla mano sinistra, ndr), ma in quel momento non sentivo nulla: volevo solo aiutare Nicoletta. Sono riuscito a spegnere le fiamme, lei era cosciente, ha dato l’impressione di calmarsi. Prima che arrivassero i soccorsi mi ha detto: "Se muoio fate giustizia. È stato M. Ora lasciatemi morire"».Poco più di un’ora dopo, mentre la madre sta morendo in ospedale, nella villetta a schiera giunge Kimberly, 8 anni, l’altra figlia di Nicoletta. La piccola non sa nulla, è stata tutto il pomeriggio a scuola, terza elementare a Gazzaniga. Adesso che scende dal pulmino c’è da asciugarsi le lacrime, c’è da fingere normalità per non traumatizzarla. Di là ci sono ancora i segni dell’inferno, ma lei non li vede. Ma capisce, santo cielo, c’è da giurare che capisce: ci sono i vicini ad accoglierla con una benevolenza un po’ imbarazzata, non c’è la mamma, le dicono che è dovuta andar via. «Forse aveva già capito che c’era qualcosa di strano - osserva Anna - L’ho portata con me in casa mia, l’ho fatta giocare con mio nipote. Non mi ha mai chiesto dov’era la mamma, ed è per questo che ho pensato che avesse intuito qualcosa».Kimberly se ne sta buona, gioca, mentre qualche chilometro più giù Mattias lotta contro la morte, mentre la mamma se ne sta andando per sempre. Anna la guarda con tenerezza, poi corre di là ad asciugarsi le lacrime: non si può, non adesso. C’è la cena, Kimberly chiede a Ippolito perché ha la mano fasciata, lui inventa una storia: non si può, non adesso, non sarebbe giusto raccontare l’inferno a una bimba di otto anni. Ma alle 20,30, quando arriva il nonno, la piccola capisce: dov’è la mamma?, chiede. «La mamma è in cielo», le risponde. Anna corre fuori: non si può piangere, non adesso. C’è la luna piena e una bella vista da qui e se aguzzi lo sguardo puoi vedere l’orizzonte. Dove muoiono i sogni e nascono le lacrime.Stefano Serpellini

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