Nella Bergamasca il gioco contagia 30 mila persone

«Nella Bergamasca le stime parlano di 30 mila dipendenti da gioco». Lo dichiara la dottoressa Albina Prestipino, referente per il gioco d’azzardo dell’Asl di Bergamo. I dati verranno analizzati in una giornata di studi il 28 aprile, mentre sabato parte un corso di formazione per volontari organizzato dalla Società di San Vincenzo de’ Paoli. Perché il fenomeno è in costante crescita: dagli otto giocatori in carico al Sert nel 2001 si è arrivati ai 42 del 2004. Il problema resta però sommerso. Paolo racconta come ne è uscito.«Il videopoker ha distrutto la mia famiglia»

Paolo, cinque anni di dipendenza: «Messo in crisi dalla paternità, ho iniziato per paura di non arrivare a fine mese» Dopo vari tentativi, da sei mesi ha smesso frequentando il Gruppo di mutuo aiuto di Mozzo. «Ora sono un altro»

Una paternità arrivata troppo in fretta. Con la responsabilità di metter su casa e far quadrare i bilanci. È stato così che un passatempo è diventata una mania. Paolo, lo chiameremo così, papà lo è diventato a 22 anni, cinque anni fa. Un amore a prima vista il suo per Sara. L’incontro galeotto nel bar di Bergamo dove lavorava. Dove per la prima volta, a 17 anni, gioca a videopoker. Ma allora è solo per provare. Sarà poi che Sara e videopoker si intrecceranno. Che i videopoker porteranno sempre più lontano Paolo da Sara e dal piccolo Marco.

Le bugie, le puntate sempre più alte, la corsa alla macchinetta tutte le sere dopo il lavoro da quasi sei mesi per Paolo sono solo un ricordo. L’ultima giocata nel novembre scorso. Lo dice forte, anche se quel «Non ci casco più» a Sara lo ha promesso tante volte. Ora però è diverso: «Ho deciso di farlo prima di tutto per me. Per riprendere in mano la mia vita». Ha gli occhi nocciola, i capelli con la brillantina, è un tipo sveglio, convincente. «Non ho mai avuto problemi finanziari. Guadagnavo bene come autista. Solo che davanti alla nascita di Marco mi sono spaventato. C’era la casa da arredare, le bollette da pagare. Ero contentissimo, ma avevo fatto il passo più lungo della gamba. E l’idea di arrotondare gli incassi mi ha fatto stare ore davanti a un pezzo di ferro che faceva girare le carte con la promessa di vincere subito». Anche se poi la maggior parte delle volte si perde. E si punta sempre di più - anche 350 euro a volta -per recuperare quello che si è perso. Diventa nervoso, in casa ci sta poco e Sara dai prelievi in banca si accorge che qualcosa non quadra. Paolo cede e racconta. E insieme decidono di ricominciare.

Passano alcuni mesi, ma il richiamo del gioco è più forte, irresistibile, annulla qualsiasi altra cosa. Ci risiamo. Altri mesi. Sara si accorge di nuovo che le cose non vanno, ma gli dà un’ultima chance. «Quando arrivi in un bar, prima di mettere i soldi pensa a me e al bambino». Funziona. Passano sette mesi d’incanto, in mezzo le vacanze al mare, come una famigliola normale. Ma a maggio dell’anno scorso Paolo ha un incidente: un lungo periodo a casa senza lavoro. «Ha iniziato a prendermi l’ansia, il conto in banca che non saliva mai. Così mi sono detto "Proviamo, dopo sette mesi di astinenza saprò sicuramente darmi un limite"». E invece no. Pare facile. Riprendono le menzogne per ottenere prestiti dai familiari, i sotterfugi.

«Il gioco ti porta completamente fuori dalla realtà, puoi fingere benissimo che vada tutto bene senza che nessuno si accorga di niente». Finché Sara lo coglie sul fatto. «Il 28 ottobre dell’anno scorso arrivano i soldi del risarcimento per l’incidente. Vado in tabaccheria per comprarmi le sigarette e l’occhio cade su una slot machine. Decido di giocare. Ma a quel punto entra Sara». E tutti i castelli crollano. La fiducia recuperata è perduta. «Credo che il mondo sia cascato addosso a tutti e due in quel momento». Non resta che il distacco. Paolo torna a vivere dai suoi. Ed è la svolta. «Il 3 novembre ho giocato per l’ultima volta. Il giorno dopo ho avuto una crisi di nervi, sono scoppiato a piangere e ho capito che da solo non potevo farcela, che non mi amavo più e che per prima cosa dovevo recuperare la stima per me stesso». Si rivolge ai servizi e arriva al Gruppo di mutuo aiuto a Mozzo. «Mi sta aiutando tanto. Se ci metti la volontà ne esci, ma è difficile riconquistare la fiducia degli altri, che si sono trovati dentro in un problema che non era il loro. Grazie all’amore ritrovato per mio figlio ce la sto facendo. Se penso a quello che avrei potuto fare, per me e per la mia famiglia, con tutti i soldi che ho buttato via». E il pensiero va a Sara. «È stata lei a darmi la scossa decisiva».

Da novembre Paolo ha capito che il gioco è un altro: viversi fino in fondo. «Prima ero uno straccio, ora mi sento un uomo». Ma ora lo deve dimostrare davvero.

(14/04/2005)

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