Nomadi, il prefetto avanza una proposta cinque aree di sosta in città e provincia

Annuncio ufficiale: il campo profughi kosovari di via Rovelli è definitivamente chiuso, dopo 14 anni di esistenza, situazioni di sovraffollamento e un lungo faticoso lavoro di inserimento sociale delle famiglie rom kosovare nel tessuto di Bergamo. Ma anche se nel caso del campo profughi si è trattato di una situazione «eccezionale» determinata dalla necessità di dare una risposta a nuclei familiari in una situazione di emergenza umanitaria (erano in fuga dalle guerre prima nella ex Jugoslavia poi nel Kosovo), in realtà Bergamo non è certo attrezzata per ospitare altri nuclei rom, non kosovari, ma nomadici, che si spostano sul territorio europeo e che comunque in città periodicamente arrivano. E si piazzano in aree di solito adibite a parcheggi pubblici (vedi i casi di Monterosso, Celadina, dove c’è un’area con 800 posti auto scarsamente utilizzata, del Villaggio degli Sposi o di Redona). Cosa intende fare, a questo punto l’Amministrazione? «Non siamo orientati a creare una situazione di stanzialità rom in città», replicano all’unisono, e un po’ spiazzati, l’assessore alle Politiche sociali Elena Carnevali e il sindaco Roberto Bruni. Detta in soldoni, niente nuovi campi o aree attrezzate per i rom. Perlomeno non campi che abbiano l’aria del «definitivo» o che possano diventarlo.

Ma l’idea, a questo punto, la rilancia il prefetto di Bergamo, Cono Federico, presente alla conferenza stampa per la chiusura del campo di via Rovelli. «Il problema dei rom che arrivano periodicamente in territorio bergamasco è certamente complesso e va affrontato – ha dichiarato Cono Federico –. Riteniamo essenziale arrivare a progettare aree attrezzate per la sosta, e quindi non per la stanzialità, destinate ai rom in transito nel territorio bergamasco. Penso ad almeno 5 aree, e sulle dislocazioni potremmo poi discutere; di queste ritengo che due potrebbero essere a Bergamo e nell’hinterland. È necessaria, però la collaborazione anche di altre Amministrazioni comunali. Insomma serve un lavoro di équipe tra gli enti pubblici». E dal sindaco Roberto Bruni, a questo punto, arriva una disponibilità di massima: «Diventa essenziale, però, lavorare insieme alle altre Amministrazioni. Anche se, voglio sottolinearlo, la questione del campo profughi kosovari era ben diversa: lì c’era una emergenza umanitaria ed era necessario intervenire, per l’ente pubblico, dal punto di vista sociale. Non è la stessa cosa per il fenomeno di rom, rumeni o di altre zone del mondo, che arrivano qui di loro volontà».

Intanto, Palafrizzoni ha annunciato la chiusura definitiva del campo profughi in via Rovelli, nell’area che era stata dell’ex macello comunale. «Un obiettivo raggiunto grazie a un accurato lavoro di collaborazione tra enti e istituzioni, e con un impegno assiduo dell’équipe rom del Servizio migrazioni – ha dichiarato Elena Carnevali –. E che non si ferma qui: quello che l’équipe rom faceva nel campo di via Rovelli continuerà a farlo, in housing sociale, seguendo le famiglie inserite in alloggi e nel mondo produttivo». Qualche numero: agli inizi degli anni ’90 i campi che si organizzano a Bergamo sono due, in via Rovelli 99 e in via Rovelli 160 (l’ex macello): il primo, che ospita soprattutto rom serbi, bosniaci e rumeni, viene chiuso nel 2001 dall’Amministrazione Veneziani (che, con l’assessore Bonassi, aveva già avviato il programma di smantellamento dei due campi, puntando all’integrazione delle famiglie con permesso e lavoro), il secondo invece, viene chiuso ora. In totale, sono state inserite, dal 2001 al 2006, in alloggi del Comune o altre strutture (alloggi privati, centri di accoglienza), 47 famiglie (34 del campo Kosovo e 13 di via Rovelli 99), per un totale di 215 persone. Attualmente sono 37 le famiglie in alloggi Aler o comunali a Bergamo e seguite dal Servizio migrazioni: 187 persone, di cui 93 minori, 88 adulti e 7 anziani. «Con una percentuale di buon inserimento che va oltre l’85% – continua l’assessore –. E sono solo 5 le famiglie sotto monitoraggio attento per qualche difficoltà. Per quanto i bambini e i minori, ci risulta che sia solo il 3% a mostrare flessibilità nella presenza scolastica». Dal sindaco, è arrivato un grazie anche all’Amministrazione precedente per aver avviato il programma di inserimento dei rom, mentre dal direttore dell’Asl Silvio Rocchi un riconoscimento all’attuale Amministrazione che «ha dimostrato coraggio nel portare a termine un’opera difficile». Un’opera, ha aggiunto il sindaco Bruni, «di cui siamo particolarmente orgogliosi perché fatta senza repressione e spostamenti forzati: un segno quindi che anche i rom hanno voluto fortemente integrarsi».(26/02/2007)

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