Pellet, i costi sono raddoppiati in 12 mesi

Nel 2006 a Bergamo su 10 stufe vendute nove sono a segatura pressata Ma è già business: il combustibile ecologico è diventato ormai introvabile

È ecologico, pulito, riutilizza in modo utile materiale di scarto e fa risparmiare. E in più, permette di aggirare la norma anti inquinamento che prevede, dall’anno scorso, il divieto di accendere camini e stufe a legna in città. È il pellet, il nuovo combustibile ricavato pressando la segatura, che dal Canada è approdato da poco in Italia, e che dopo un timido esordio sta facendo «strage» di vecchie stufe a metano e a legna. Tanto che secondo le stime di alcuni commercianti bergamaschi, nel 2006 su 10 stufe vendute nove sono a pellet. Senza dubbio, a incidere sul mercato è stata anche, come si diceva, la nuova disposizione che per abbassare l’inquinamento atmosferico vieta di usare come mezzo di riscaldamento in città stufe o camini a legna (il divieto cade nei luoghi di montagna).«Già l’anno scorso abbiamo cominciato a ricevere qualche ordinazione - racconta Franca Belotti, titolare di un negozio cittadino - ma quest’anno le richieste sono esplose e ora ci vogliono almeno tre o quattro mesi di attesa per una stufa a pellet». Le ragioni di questo successo stanno nelle particolari caratteristiche di questo tipo di combustibile, fatto di solo legno e ottenuto senza l’utilizzo di altri additivi. Il primo punto a favore del pellet sembra essere la comodità: le stufe a pellet, così come i camini (esistono persino le caldaie) sono di tipo elettronico, il che significa che è possibile programmare la temperatura desiderata negli orari prestabiliti, senza dover controllare il fuoco e preoccuparsi di caricare la stufa. «A differenza dei caloriferi, il pellet permette di raggiungere 20 gradi nel giro di pochi minuti e riscalda in modo efficace, come la legna - spiega Emanuela Bonacina, socia di un negozio a Chignolo d’Isola -. Ma rispetto alla legna ha il vantaggio che non occorre aprire continuamente lo sportello per caricare, quindi sporca di meno e non comporta inconvenienti come l’annerimento delle pareti. I clienti che hanno impianti a legna infatti spesso si lamentano di dover imbiancare di frequente».«Il pellet ha una buona resa e consuma il 30% in meno rispetto al metano - continua Carlo Viotti, titolare di un negozio di Gorle - e credo che le stufe possano continuare ad avere un buon successo. Questo vale un po’ meno per i camini, perché la fiamma prodotta dal pellet ha un colore più freddo rispetto a quella della legna, e nei camini l’aspetto estetico ha un peso». Insomma, estetica a parte, sembra che il pellet abbia tutte le carte in regola per diventare il combustibile da riscaldamento del futuro, unendo in un unico prodotto i vantaggi del metano e della legna ed eliminandone i difetti: «In Canada molti condomini con il riscaldamento centralizzato hanno caldaie a pellet e il rifornimento viene fatto con le cisterne, come per il gasolio», afferma Fabio Dolci, rivenditore di Bracca. Ma il rovescio della medaglia, almeno per l’Italia c’è, e riguarda il mercato: i produttori di pellet di casa nostra si contano sulla punta delle dita, un po’ perché si tratta di una novità e un po’ perché in Italia l’industria del legno non è florida come nel Canada o in altri Paesi europei. Fatto sta che dallo scorso giugno, quando la gente ha cominciato a comprare in massa le nuove stufe, il pellet ha cominciato a scarseggiare, e che il prezzo di un sacchetto da 15 chili, che equivale più o meno a 10 ore di riscaldamento, è passato in un anno da tre a sei euro. E se da un lato si può pensare che l’impennata di vendite delle stufe abbia colto impreparati i pochi pionieri del pellet, dall’altro è lecito sospettare che questi abbiano semplicemente approfittato della situazione per trasformare la segatura in un affare. Se ne sono accorti i rivenditori, che lamentano di fare fatica ad approvvigionarsi; e le reazioni sono discordanti. Giovanni Facchi di Clusone, per esempio, è convinto che proprio per questa situazione il pellet sia destinato a tramontare: «Credo che sia la moda di quest’anno ma che non potrà durare molto. C’è poca serietà e poca sicurezza, i produttori giocano al rialzo. E per poter aumentare la produzione servono i magazzini, ma tenere un materiale povero come il pellet non conviene a nessuno». Ma c’è anche chi fa di necessità virtù, come Fabio Dolci: «Parlando con i produttori di stufe e quelli di pellet, ho calcolato che la produzione italiana di pellet copre all’incirca un quinto del fabbisogno. E siccome tutti si rivolgono agli austriaci, che se ne approfittano, io mi sono trovato un altro rifornitore nell’ex Cecoslovacchia. Fino a poco tempo fa nessuno credeva nel pellet, ora è diventato un business». (05/11/2006)

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