Qui Molenbeek, «Benvenuti all’inferno»
Ma il diavolo non abita qui - Reportage

«Benvenuto all’inferno». Lo sguardo è fiero e cerca il nostro, per sfidarlo. «Sei venuto a vedere le bestie feroci, come quando vai allo zoo?». Ahmid non ama i giornalisti e non fa nulla per nasconderlo. Non ama nemmeno Molenbeek, ma questo è secondario perché dipende dal carattere, dal momento e da cento altre cose.

Il fatto che ci sia nato, e prima di lui ci sia nato suo padre, non cambia ai suoi occhi il bisunto libretto del dare e avere. Però Ahmid, vent’anni che sembrano brutti, qui ci vive. E non vuole passare per quello che non è. Un assassino. Centomila abitanti, venti minuti a piedi, tre fermate di metrò dai grattacieli hi-tech del centro di Bruxelles, il cuore simbolico dell’Europa unita. Eppure Molenbeek è finita sulle prime pagine dei giornali di tutto il pianeta come il dente cariato del mondo: «Nido di terroristi», «roccaforte jihadista», «testa di ponte dell’Islam in Europa».

Parlano i fatti, parlano i nomi. Uno dei cervelli degli attentati di Madrid (11 marzo 2004, 191 morti) è diventato grande qui. Amedy Coulibaly, l’autore della carneficina all’Hypercacher di Parigi (9 gennaio 2015, 4 morti) nei giorni di Charlie Hebdo, qui si era procurato le armi. Mehdi Nemmouche, il presunto responsabile della strage al museo ebraico di Bruxelles (24 maggio 2014, 4 morti), ci ha vissuto a lungo. Ayoub El Khazzani, protagonista dell’attacco al treno Thalys Bruxelles-Parigi (21 agosto 2015) sventato da due marines, frequentava la moschea semiclandestina di Loqman, in rue Ransfort, a dieci metri dalla scuola elementare La Cité des enfants.

A dicembre, di fronte alla rivelazione dei giornali, anche il primo ministro Charles Michel ha dovuto arrendersi all’evidenza. Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto del commando che il 13 novembre terrorizzò Parigi, allora latitante – è stato poi arrestato il 13 marzo –, si era nascosto per una ventina di giorni al terzo piano di un vecchio stabile di pietra grigia al numero 86 di rue Henri Bergé, in pieno centro. Salah, insieme a suo fratello Ibrahim, uno dei kamikaze del Bataclan, gestiva qui il caffè Les Beguines. E la loro casa di famiglia, quella dove sono cresciuti, è proprio nella piazza centrale, fronteggia il municipio e, sembra incredibile, è un alloggio di proprietà comunale. E sempre qui a Molenbeek è nato e cresciuto Abdelhamid Abaaoud, star della Jihad in Siria e considerato il cervello delle stragi di Parigi.

Che cosa è accaduto a questa cittadina che fino agli anni Settanta del ’900 era soprannominata la «piccola Manchester»? La tipica città industriale del Nord Europa dove gli operai si guadagnavano stipendio e reputazione fabbricando il Belgio moderno? A giudicare dalle fotografie d’epoca esposte in municipio l’aspetto non è cambiato di molto. Le case sono ancora tutte di due piani, massimo tre. Le facciate sono rosse, il rosso dei tipici mattoni di Bruxelles.

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