«Riina a casa per una morte dignitosa»
Lo decide la Cassazione, è polemica

La Corte contro il Tribunale di sorveglianza. Insorgono i familiari della vittime di mafia. Bindi: in carcere è curato.

Esiste un «diritto a morire dignitosamente» che va assicurato al detenuto, afferma la Cassazione. E anche se il detenuto in questione si chiama Totò Riina, capo dei capi di Cosa Nostra, condannato per le bombe negli anni del terrore degli attentati mafiosi e per la strage di Capaci, ormai ottantaseienne allettato, incapace anche solo di stare seduto, il giudice che deve valutare sulla sua permanenza in carcere deve tenere conto di questo principio e nel caso motivare espressamente il suo parere contrario.

La pronuncia con la quale la Corte di Cassazione per la prima volta apre al ricorso della difesa di Riina – che da anni chiede il differimento della pena o i domiciliari per motivi di salute – suscita polemiche, in primis da parte dei parenti delle vittime della mafia. Ora la richiesta di Riina dovrà tornare al Tribunale di sorveglianza per rivedere la questione alla luce di quanto sottolineato dalla Cassazione, che ha annullato il primo provvedimento del tribunale, poiché nel motivare il diniego aveva omesso «di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico».

Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l’infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Ma la Cassazione sottolinea, a tale proposito, che il giudice deve verificare e motivare «se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza e un’afflizione di tale intensità» da andare oltre la «legittima esecuzione di una pena».

Sul fronte politico insorge il centrodestra, mentre le associazioni liberali, come Antigone, e i Radicali sottolineano che lo Stato non può trattenere una persona a vita al 41 bis. La presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi dichiara: «In carcere è curato. Non è necessario trasferirlo altrove, men che meno agli arresti domiciliari, dove andrebbero comunque assicurate eccezionali misure di sicurezza e scongiurato il rischio di trasformare la casa di Riina in un santuario di mafia».

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