Sant’Agata, il giallo della proprietà finisce in tribunale

Accordi stipulati ma attuati solo a metà, documenti annunciati ma mai arrivati a destinazione, una direzione centrale che cerca l’accordo e una locale che va via spedita nella direzione opposta, errori di calcolo, ingiunzioni di pagamento milionarie, due citazioni in giudizio. Sono in pochi, a Palafrizzoni, quelli che conoscono veramente il contenzioso che contrappone l’Amministrazione al Demanio. Questo non per oscurantismo, bensì perché la materia è contorta da far invidia a Franz Kafka: ha prodotto una mole enorme di documenti e si protrae da quasi quarant’anni.
LO «SCAMBIO» DELLE CARCERI La vicenda, che per la prima volta finirà in tribunale l’8 febbraio, ruota attorno a due carceri, o meglio, un ex carcere (l’antico convento di Sant’Agata) e un terreno su cui sorge un carcere (quello del Gleno). L’accordo per la permuta fra la struttura di Città Alta e il terreno su cui poi sarebbe sorta la casa circondariale cittadina risale al 1969 ed è il punto di partenza di un’attualissima diatriba sui canoni d’affitto. Il Demanio, infatti, ha a più riprese chiesto versamenti per gli spazi occupati dal Comune in Sant’Agata: conteggiando gli arretrati, l’ultima ingiunzione si aggira sul milione e duecentomila euro.
L’ACCORDO RATIFICATO A METÀ Alle varie ingiunzioni di pagamento il Comune, anch’esso a più riprese, ha risposto picche per due motivi. Primo: esiste un accordo che prevede la cessione a Palafrizzoni di Sant’Agata in cambio dell’esproprio e dell’urbanizzazione delle aree su cui sorge il Gleno. Secondo: fosse anche stabilito che il Comune deve versare l’affitto, le richieste di Roma sono considerate troppo alte. A questo si aggiunga un’altra considerazione: se il Comune dovesse pagare, significherebbe che l’accordo iniziale non è valido, quindi che lo Stato è in debito con Palafrizzoni per gli interventi compiuti sull’area del Gleno e per l’uso di un terreno che, per assurdo, risulterebbe ancora comunale. «Credo che quest’ultimo caso sia da escludere – riflette l’assessore al Patrimonio Francesco Macario –. Il terreno del carcere attuale è demaniale perché il Comune ha ratificato la permuta». Peccato però che, e lo dimostrano le numerose richieste di arretrati per Sant’Agata, nella permuta manchi la contropartita.
Per ricostruire la vicenda per filo e per segno, l’assessore Macario ci si è messo d’impegno: «Ci sono voluti mesi – spiega –, è una vicenda complicatissima. Al di là dell’udienza dell’8 febbraio al Tribunale di Brescia (la causa è stata avviata dal Comune), l’auspicio è arrivare a un accordo, a una soluzione extragiudiziaria. Quello che ci interessa, alla fine, è sbrogliare la matassa, stabilire le responsabilità per fare sì che lo stabile di Sant’Agata venga finalmente recuperato e valorizzato».
QUARANT’ANNI DI CARTE BOLLATE Tutto comincia il 9 novembre del ’69, quando il Consiglio comunale di Bergamo stabilisce che sarà il Comune ad assumersi l’onere di espropriare l’area del Gleno e a costruirvi un collettore fognario. La spesa è di 121 milioni delle vecchie lire. Nella stessa delibera si dà atto di un accordo con lo Stato che prevede, in cambio dei lavori, la cessione dell’ex convento di Sant’Agata. Lo spostamento dei carcerati avviene nel ’78, ma a quel punto la direzione generale del Demanio rilancia: per ottenere l’ex convento Palafrizzoni deve sborsare anche 87 milioni. L’Amministrazione accetta e la Giunta approva l’acquisto con delibera del 28 luglio 1983. «Qui le cose si complicano – spiega Macario sfogliando i documenti – perché, nonostante i numerosi solleciti del Comune che aveva già fatto la sua parte, lo scambio non è mai stato perfezionato: dal ministero delle Finanze non è mai arrivata l’approvazione ufficiale». E questo è il nodo «a monte» della vicenda: di chi è l’ex carcere di Sant’Agata? Il Tribunale, o le parti in causa attraverso un accordo, dovranno stabilirlo con certezza.
LA LETTERA SCOMPARSA La vicenda degli affitti prosegue parallelamente. Dal 1982, infatti, il Comune comincia a utilizzare gli spazi di Sant’Agata (dopo averli ristrutturati spendendo 571 milioni): nell’ex carcere-convento entrano Circoscrizione 3, Asl e Cooperativa Città Alta onlus. Tutto fila liscio fino a che, nel 1990, l’agenzia generale del Demanio si «dimentica» che un terreno è già stato espropriato e scrive a Palafrizzoni chiedendo di permutare Sant’Agata con un edificio comunale qualsiasi, purché vi si possano installare uffici statali. Un’altra missiva arriva a Bergamo nel 1996: il ministero delle Finanze in cui si conferma il contenuto di una «missiva precedente» che disdettava il contratto e che informava che l’immobile era stato inserito nel programma di alienazione dei beni patrimoniali dello Stato. «Peccato, però, che la "missiva precedente" che annullava la possibilità di usare gli spazi dell’ex carcere non sia mai arrivata in Comune», afferma Macario.
I CANONI «SALATI» A questo punto lo Stato procede per la sua strada, vuole vendere e chiede che gli affitti dovuti siano versati. La prima ingiunzione di pagamento per arretrati arriva nel 1996: 782 milioni. Dall’altra parte Palafrizzoni snocciola date e delibere, facendo partire la prima causa di opposizione al pagamento. A prescindere dal fatto che non ci sono certezze sulla proprietà, l’Amministrazione contesta che la cifra richiesta sia dieci volte quella eventualmente dovuta. «Esiste un criterio di "reciprocità" che regola i rapporti d’affitto fra pubbliche Amministrazioni – afferma l’assessore –. Per gli spazi della Polizia tributaria di viale Giulio Cesare, ad esempio, lo Stato versa al Comune il 10% della quota intera. Il criterio dovrebbe valere viceversa». La soluzione è però lontana: il contenzioso sulle cifre si protrae e nel 1998 il Comune presenta la prima citazione per opporsi al pagamento, ma nel 2003 arriva un’altra richiesta dal Demanio per il periodo 1991-2003 (952 mila euro) a cui Palafrizzoni risponde con un nuovo atto di citazione. Nel 2005 il Demanio ricalcola le somme e poi propone uno sconto del 60%: chiede 486 mila euro. Il Comune continua a non starci, caldeggiando un confronto diretto per trovare finalmente un accordo. Il Demanio rilancia proponendo un canone agevolato: l’ipotesi è però ancora lontana dal 10% quindi, mentre c’è chi comincia a ipotizzare pure un trasferimento della Circoscrizione «affittuaria» altrove, le carte proseguono il loro corso in Tribunale.
IL FACCIA A FACCIA Nell’ottobre 2006, cercando la tanto agognata soluzione «pacifica», Macario contatta Roma e ottiene un incontro con alcune personalità del ministero delle Finanze: la disponibilità a trattare c’è, ma per nuovi confronti si decide di aspettare l’approvazione della Finanziaria. Peccato che a novembre la burocrazia colpisca ancora: la direzione regionale della Lombardia, incurante o forse inconsapevole degli accordi presi, invia un conto da 1 milione e 200 mila euro. Così si arriva a gennaio 2007: sul caso si tiene un’informativa alla Giunta e si chiedono pareri all’avvocatura del Comune.
IN CERCA DI UN ACCORDO Ora l’udienza è alle porte: «Abbiamo avviato le cause solo per tutelarci – spiega Macario – ma l’auspicio è trovare un accordo che tenga conto delle esigenze di entrambe le parti. La vicenda si sta trascinando da troppo, troppo tempo. Bisogna darsi una mossa, considerato anche che i soggetti in causa sono due pubbliche Amministrazioni. Bisogna cercare una soluzione che permetta di recuperare l’ex carcere che per Bergamo è un pezzo di storia. Nei prossimi giorni – conclude allargando le braccia l’assessore – tornerò a Roma». E quindi, dopo quasi quarant’anni, la storia continua.

(02/02/2007)

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