Un bimbo? Costa diecimila euro all’anno

Non è solo questione di vestiti, cibo, biberon, pannolini e passeggini. Ci sono anche scuola, doposcuola, palestra, lezioni di nuoto, danza e violino, biciclette, libri, computer. E la lista potrebbe continuare ancora a lungo. I figli costano. Poco, certo, rispetto al valore che rappresentano, a livello individuale e sociale: un investimento sul futuro, una presenza che dà senso alla vita, una scelta d’amore. Mantenerli e crescerli bene però richiede una bella fetta delle entrate mensili delle famiglie, che faticano a far quadrare bisogni, desideri e possibilità. Al punto che, secondo una relazione diffusa in questi giorni dalla Commissione affari sociali della Camera, la maggior parte delle coppie in Italia ha in media un figlio in meno di quanti ne desidererebbe. Un segnale allarmante, visto l’andamento demografico registrato in questi anni a livello nazionale come pure nella nostra città: sempre più anziani e meno bambini.

Speriamo che alla rilevazione segua l’idea di rivedere le quote della spesa sociale destinata alla famiglia, ferma al 4,4%, la più bassa insieme alla Spagna. Al contrario la spesa per gli anziani è il 61,8% rispetto alla media europea del 45,5%. Il convegno «We care, valore e costo dei figli. Riflessioni e prospettive» promosso da Comune di Bergamo e Consulta delle politiche familiari che si è aperto ieri all’auditorium della Provincia in via Santa Caterina ha messo il dito nella piaga. Quanto incide un figlio sulle spese mensili della famiglia? Secondo la stima presentata nell’ambito di un’articolata relazione da Federico Perali, docente di Politica Economica a Verona, per il puro e semplice mantenimento se ne vanno ogni mese 252 euro per un bimbo da 0 a 5 anni, 212 per uno da 6 a 14 e 233 per un ragazzo da 15 a 18 anni. «Sono 3.000 euro all’anno – commenta Perali – contro i 900 di detrazione fiscale concessa in Italia ai genitori. In Francia sono 4.000». E poi ci sono asili e scuole: per i nidi secondo i dati contenuti nella sintesi dell’approfondita ricerca svolta sul tema dalla Consulta per le politiche familiari la spesa media in città è di 2.500 euro all’anno in quelli comunali. Nei privati si spende 400-600 euro al mese, cioè da 4.800 a 7.200 euro all’anno. Alla materna le rette sono meno pesanti: circa mille euro all’anno alla statale per usufruire del servizio di mensa per cinque giorni alla settimana. Le paritarie e private (frequentate a Bergamo dal 62% dei bimbi) prevedono una retta che va da un minimo di 1.000 a un massimo di 3.000 euro all’anno. Se aggiungiamo il post scuola, per arrivare a coprire l’orario di lavoro dei genitori, bisogna conteggiare in media altri 500 euro. Senza considerare eventuali attività integrative come cinema, teatro, gite, corsi di psicomotricità e così via.

Passiamo alle elementari: tra le statali ormai molte chiedono un contributo volontario, anche se ridotto, che arriva a circa duecento euro all’anno. Chi usufruisce della mensa spende da 180 euro all’anno (per un giorno a settimana) fino a circa 1.000. Per le paritarie il costo medio annuale della retta si aggira intorno ai 1.650 euro, anche se c’è (non per tutti) la possibilità di recuperare qualcosa attraverso Buono scuola e altre provvidenze. Il pre-scuola (anticipo per agevolare i genitori che hanno problemi d’orario) costa in media 172 euro all’anno alle statali e nelle paritarie è nella maggior parte dei casi incluso nella retta. Il «post-scuola» per un giorno a settimana costa un centinaio di euro all’anno nelle statali. Nelle paritarie è in media di 400 euro ma copre tutti i giorni della settimana. Più eventuali attività integrative.

I valori restano più o meno gli stessi anche alle medie, sia per le statali sia per le paritarie (con l’aggiunta, nel caso di frequenza del post-scuola, di ottocento euro in più circa). Più i libri. A questi costi vanno sempre aggiunti quelli dei trasporti e di eventuale materiale didattico aggiuntivo. Proviamo a tirare le somme, e facciamo solo un esempio pensando a un bimbo tra 0 e 5 anni in una famiglia «normale», che non rientra quindi nelle fasce più basse di reddito che usufruiscono di riduzioni o altri aiuti. In un anno papà e mamma possono spendere otto-diecimila euro considerando solo mantenimento e nido. Senza considerare gli investimenti in termini di tempo ed energie, e l’effetto che maternità, astensione facoltativa e necessità legate ai tempi di cura hanno sulle entrate mensili in particolare delle madri. L’impatto sul tenore di vita di una giovane coppia – anche se benestante – si può ben immaginare. Considerando due stipendi di 1.500 euro netti, 30.000 all’anno (una buona situazione), vuol dire contare sul 30% in meno di disponibilità. L’aumento di esborso mensile è in media del 25% circa. Una curiosità: un single sopporta costi pari al 60% in più rispetto a un adulto che vive in famiglia. Paradossalmente a una società fondata sui consumi come la nostra «conviene» che le persone vivano sole.

(05/05/2007)

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