Vajont, impossibile dimenticare
«L'orrore c'è rimasto negli occhi»

Tra i soldati di leva che dalle caserme alpine furono mandati subito dopo l'onda di acqua e fango che spazzò i paesi della valle ci furono anche molti giovani bergamaschi. Che oggi ricordano quella drammatica esperienza.

«Vi chiamò il dovere, trovaste l'orrore, vi sostenne l'amore»: poche parole incise su una medaglia, quella che gli alpini ricevettero per l'opera di soccorso compiuta dopo l'immane tragedia del Vajont. Tra quei soldati di leva che dalle caserme alpine furono mandati subito dopo l'onda di acqua e fango che spazzò via Longarone, Erto, Casso e Castellavazzo ci furono tanti giovani bergamaschi. Ai loro occhi si presentò veramente l'orrore che è rimasto impresso nelle menti e nei cuori per tutti questi lunghi 50 anni. Nessuno di loro ha dimenticato.

«Per me è impossibile dimenticare, ho compiuto 22 anni proprio il 9 ottobre del 1963 - racconta Guglielmo Redondi di Ponte San Pietro -. Ero nella caserma Fantuzzi a Belluno. Fummo tra i primi ad arrivare poco dopo le undici. Partimmo armati perché in un primo momento si pensò ad un attentato, erano gli anni in cui gli altoatesini facevano saltare i tralicci». Nei primi giorni si teme anche che la diga possa crollare: «Sarebbe stata un'altra strage tra i soccorritori perché noi eravamo lì sotto» aggiunge Redondi.

Tra i racconti di questi uomini, che a soli vent'anni si sono trovati in mezzo alla tragedia, colpisce un'osservazione sui superstiti: «Le persone rimaste non volevano che ce ne andassimo. Noi siamo partiti di notte, per non farci vedere. Ci volevano lì, come se avessero paura di essere abbandonati, di essere lasciati soli» ricordano Colleoni e Redondi. Loro, i sopravvissuti, non hanno mai dimenticato i loro soccorritori. Anche lo scorso 15 settembre li hanno invitati alla giornata a loro dedicata che si svolge ogni cinque anni.

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