Città assediata dal traffico
Bus mezzi vuoti e furgoni mezzi pieni

Bergamo può vantare di essere fra le cinquanta medie città italiane con il più alto numero di metri quadrati per cittadino destinato a zone a traffico limitato, le aree Ztl. Quasi quattro volte più di Brescia o di Bolzano, almeno dieci più di Aosta e di Udine. Peccato però che a Bergamo emergano fortissime disomogeneità fra gli orari e i bisogni degli esercizi commerciali o le esigenze di chi lavora in quelle zone. Così, alla fine, il traffico e la mobilità di mezzi con le merci resta alta lungo tutto il giorno.

Bergamo può vantare di essere fra le cinquanta medie città italiane con il più alto numero di metri quadrati per cittadino destinato a zone a traffico limitato, le aree Ztl. Quasi quattro volte più di Brescia o di Bolzano, almeno dieci più di Aosta e di Udine. Peccato però che a Bergamo emergano fortissime disomogeneità fra gli orari e i bisogni degli esercizi commerciali o le esigenze di chi lavora in quelle zone. Così, alla fine, il traffico e la mobilità di mezzi con le merci resta alta lungo tutto il giorno.

Ancora: quasi otto furgoni o camioncini su dieci che portano merci, pacchi o consegnano prodotti a domicilio nel centro città sono carichi solo fino al 51% della loro portata massima, per metà cioè sono vuoti. Quasi uno su quattro non arriva a riempire nemmeno un quarto dello spazio di carico. In media, complessivamente, meno di uno su cinque viaggia con il mezzo a pieno carico. Altro fronte, il problema dei pendolari. Gli studenti, per esempio, che raggiungono le sedi universitarie bergamasche da fuori città per sei volte su dieci con la propria auto. Non ci sono alternative se si vogliono conciliare orari delle lezioni e puntualità. Solo la sede in Città Alta viene raggiunta da quattro studenti su dieci con mezzi pubblici oppure a piedi. Muoversi in città in maniera più sostenibile, riducendo l’impatto ambientale, ma garantendo anche l’accessibilità ai luoghi non può prescindere da queste prime criticità .

Studenti a confronto sui mezzi
E questo è solo uno scatto, ancora sfocato, della problematica fotografia con cui dovrà fare i conti e da cui decolla “Real Cities”, la parte del percorso di “Bergamo 2.035” messo in campo dalla Fondazione Italcementi, e che con questo progetto vuole pensare un nuovo modello di gestione integrata della mobilità urbana per Bergamo. Una città in cui tutti i giorni arrivano 70mila persone.

Inevitabili e numerosi sia i limiti sia le criticità con cui si dovranno confrontare i 12 studenti dell’Università di Bergamo e i 18 dell’Università di Harvard, scelti fra le facoltà di Ingegneria gestionale, Informatica, Urban design, Comunicazione, Pianificazione turistica, Architettura.

«Gli studenti hanno una settimana per focalizzare i problemi, e altri due mesi per elaborare il progetto – spiega Matteo Kalchschmidt, prorettore delegato all’Internazionalizzazione dell’Università di Bergamo e referente del progetto Real Cities, insieme a Fulvio Adobati e Maria Rosa Ronzoni -. A fine aprile ci sarà la presentazione ad Harvard, e subito a Bergamo, agli stakeholder del territorio.

Il lavoro seguirà anche una metodologia nuova, oltre ai dati, guarderà molto anche all’esperienza diretta di tutti i giorni. Le soluzioni non saranno solo tecniche - precisa Kalchschmidt -, ma punteranno a sviluppare strumenti che facciano percepire il viaggio in maniera diversa, stimolando sensazioni, percezioni, dando spunti ambientali, usando la tecnologia e app dedicate».

Il vuoto culturale
Un lavoro organizzato in gruppi, con specifici approfondimenti lasciati ai singoli studenti, perché l’approccio sarà sulla realtà locale, ma con una forte visione internazionale.

«Il confronto con quanto succede in altre città, casi virtuosi per il modello di mobilità che hanno implementato – spiega Roberto Pinto, docente di Sistemi logistici e supply chain management, referente del progetto – saranno un importante punto di riferimento. Tre le aree lungo cui si sviluppa il lavoro di ricerca. Una prima area dedicata alla mobilità dolce, a formule come il bike-sharing o il car-sharing, dove il fatto di spostarsi deve anche conciliarsi e integrarsi con il paesaggio, rafforzando infrastrutture come le piste ciclabili; una mobilità dedicata agli studenti, focalizzando le soluzioni verso le nostre università. E un terzo spazio dedicato alla supply chain, cioè la catena di fornitura, la messa a fuoco dei sistemi innovativi di logistica urbana che tengano conto di come le merci entrano in città, con quali tempi e come sono distribuite».

È forse questo l’aspetto che più tormenta gli studiosi di mobilità e logistica urbana. Il lavoro per un modello nuovo è comunque avviato. Ma la sensazione è che per soluzioni nuove, radicalmente innovative e ambiziose per questo trasporto urbano locale, purtroppo, si dovrà veramente attendere la data del 2035 che dà il titolo a tutto il progetto.

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