Il diritto al cibo può diventare reale

Il mondo si può cambiare anche così. Ecco perché sarà un’eredità buona. Sarà la nostra Torre Eiffel, costruita con tante piccole azioni quotidiane che segneranno la svolta concreta, e niente affatto utopistica, di trasformare un’aspirazione, una richiesta storica e nei tempi di accedere al cibo in un diritto reale.

La Carta di Milano sancisce questa svolta: il cibo non più come sola aspirazione, ma come diritto riconosciuto per tutti. Non è solo genuino lessico costituzionale. Primo fatto: la Carta di Milano afferma che un mondo senza fame è possibile. Poi, che dentro c’è la prova che solo l’accesso al cibo come diritto trasforma una vita in degna di essere vissuta. Il cibo non è solo felicità, per chi ce l’ha. Il cibo non è solo salute o benessere per chi ce l’ha. Il cibo è un dramma per chi non ne dispone.

È tutta questa, verrebbe da dire, la grande valenza del documento. La vera eredità immateriale che Expo lascerà al mondo intero. Principi attorno ai quali ruota la Carta di Milano, nella sintesi di un dibattito intenso, di due anni di lavoro gran parte “dietro le quinte”, e di 42 tavoli tematici con cinquemila esperti, ricercatori e universitari.

Un lavoro coordinato dal professore Salvatore Veca di Laboratorio Expo-Fondazione Feltrinelli, per scrivere l’unica vera eredità politica di Expo 2015. Eppure un’eredità concretissima, non limitata a utopistiche dichiarazioni di intenti. La convinzione di chi ci ha lavorato è stata esplicita e sottolineata in coro alla sua prima presentazione: la Carta è prima di tutto un richiamo alla responsabilità verso un diritto fondamentale per garantire il quale tutti sono chiamati a sancirlo nei fatti prima ancora che a difenderlo. Tutti possono leggere e sottoscrivere la Carta (www.carta.milano.it). Almeno 3,5 miliardi di persone potranno leggerla nei sei mesi di Expo. Una Carta che resta ancora aperta a integrazioni, confronti e discussioni. È tradotta in 19 lingue. E il 26 ottobre verrà consegnata al segretario Onu, Ban Ki-moon.

La sfida tocca a tutti. Ed è stato un bergamasco come Ermanno Olmi, con il cortometraggio «Il Pianeta che ci ospita» a rilanciare i contenuti e gli impegni della nostra quotidianità. Ma cosa fare tutti i giorni? Insegnare ai nostri figli come salvaguardare risorse e ambiente. Con piccole azioni quotidiane come il comprare solo il cibo che ci serve davvero, senza buttare nulla nella spazzatura, senza sprecare risorse e materie prime come l’acqua, l’energia. Basterebbe anche solo spegnere la luci quando non servono. Come società civile «valorizzare i piccoli produttori locali come protagonisti di una forma avanzata di sviluppo». Ma è anche l’assunzione di responsabilità a tutti i livelli istituzionale ad essere fondamentale, dai singoli Stati, ai governi, ai politici, ai sindaci, agli amministratori locali. Ciascuno di questi livelli può giocare la propria responsabilità nella lotta allo spreco, al buon uso delle fonti, alla difesa della biodiversità, alla promozione delle buone pratiche.

Un impegno che l’Associazione nazionale dei Comuni ha preso ufficialmente. Il Comune di Bergamo e già numerosi altri Comuni del territorio – soprattutto quelli già in prima linea nella lotta allo spreco alimentare, per esempio nelle mense scolastiche – hanno raccolto la sfida di sottoscrivere e promuovere la Carta: nei prossimi giorni porteranno in giunta la proposta di delibera a sostegno della Carta e la condivideranno per il voto del Consiglio. Piccoli Comuni e singoli amministratori locali sono i primi ad essere chiamati a decidere e a rispondere con i loro strumenti urbanistici al primo grande appello della Carta: difendere e tutelare il suolo agricolo, la biodiversità locale e il proprio territorio, l’ecosistema di un luogo. Bergamo e il suo territorio sono presenti a Expo. Visto il dibattito in corso non è escluso che anche sul territorio bergamasco possa nascere – come sta succedendo in altre aree - una sorta di Patto fra i sindaci per politiche alimentari sostenibili e reciproche. Una sfida da cogliere.

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