«Il vero scienziato è umile
Non fa nulla di potente»

Intervista al presidente di Bergamo Scienza sul terzo capitolo dell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco. E Salvi parte da questa prima considerazione: «L’uomo è stato creato a immagine di Dio, ciò gli conferisce un anelito a superare i confini della conoscenza. L’uomo può utilizzare questo potere in modo sbagliato, ma il vero scienziato contribuisce alla conoscenza, ma non fa niente di potente»

Il capitolo terzo dell’enciclica «Laudato si’» si presta a innumerevoli letture e, a seconda delle prospettiva, ha pure acceso alcune critiche. Come ha fatto una certa parte del mondo scientifico. Per questo abbiamo chiesto al presidente di Bergamo Scienza, Mario Salvi, endocrinologo dell’Università degli studi di Milano, di commentarlo.

- Il capitolo terzo vuole indagare la causa antropologica per la quale si è giunti alla crisi ecologica denunciata nei capitoli precedenti. Il Papa la ritrova nell’incredibile accumulo di potenza che la tecno scienza ha fornito all’uomo, senza precedenti.
«L’uomo è stato creato a immagine di Dio, ciò gli conferisce un anelito a superare i confini della conoscenza. L’uomo può utilizzare questo potere in modo sbagliato, ma il vero scienziato è molto umile: ogni scienziato contribuisce alla conoscenza, ma non fa niente di potente. Riconosco che esista un antropocentrismo deviato, ma esso non deriva dalla metodologia e dalla cultura scientifica. Non condivido il giudizio che il metodo scientifico sia un metodo di potere, è un’analisi delle cose, dà conoscenza, non necessariamente il potere di modificarle».

L’uso assoluto della scienza

- Ma il Papa non dice che la causa siano la scienza e la tecnica, ma il loro uso in modo assoluto.
«Certo c’è chi manipola le scoperte scientifiche, ma lo scienziato ha altre esigenze. Quando si entra in ambito biomedico, se la conoscenza ci dà gli strumenti per intervenire e modificare in meglio la natura, allora è giusto farlo. Perché si studiano le cellule staminali di provenienza embrionale? Perché si pensa di curare malattie che sono devastanti. Maneggiare un embrione pone dei problemi di coscienza a prescindere dal credo. Usare l’embrione è una scelta di coscienza, ma anche politica, e c’è il rischio che questo tipo di ricerche possa esse strumentalizzato per altri fini. Ma non credo che si debba dire allo scienziato: “ti devi fermare”. Naturalmente si devono cercare anche altre strade, ma non credo che lo scienziato lavori sull’embrione per un delirio di potenza. Noi a BergamoScienza abbiamo passato una giornata con Jan Wilmut, lo scienziato che ha clonato la pecora Dolly. È un ometto che vive in una casa di campagna, tutt’altro che uomo di potere, modesto, anche nelle sue prospettive. Non gli hanno nemmeno dato il Nobel».

- Il problema è che “l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza”, come dice l’Enciclica, è “nudo ed esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere.
«Certo, sono d’accordo, è un problema culturale. Vale anche per noi italiani: siamo in un Paese cattolico in cui probabilmente registriamo più aborti di quanti neonati riusciamo a produrre con la procreazione medicalmente assistita. Certe scelte non son solo etiche, ma dipendono anche dalla conoscenza di quanto il progresso scientifico oggi ci offre».

- Riguardo alle bioscienze il Papa assume la “posizione equilibrata” di Giovanni Paolo II: sì alle bioscienze, ma riconsiderandone gli obiettivi e gli effetti. È molto cauto anche riguardo agli organismi geneticamente modificati (Ogm) in agricoltura. Si oppone invece ai movimenti ecologisti che non difendono la vita umana e giustificano che “si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi”.
«Lo scienziato non si pone il problema degli obiettivi, quello è un problema etico. Nel momento in cui uno scienziato inizia a studiare la divisione cellulare, non può a priori porsi degli obiettivi e dei limiti, precludersi a priori una certa strada. Potrà scegliere un metodo o un altro. Fino ad ora le bioscienze hanno avuto degli effetti positivi, pensiamo a tutta la ricerca sul cancro che si basa sullo studio del Dna. Vale anche per la ricerca sugli Ogm. Quando iniziò vent’anni fa, l’idea di creare del cibo per chi non ce l’ha, modificando geneticamente alcune piante, era grandiosa. Adesso uno scienziato come Daniel Voytas, ospitato quest’anno a BergamoScienza, ha scoperto che è possibile super-selezionare organismi resistenti, senza crearne di nuovi. Ma come si poteva sapere vent’anni fa? Questa scoperta si inserisce in un vasto movimento di tutela delle diverse specie viventi. È accaduto ciò che auspica il Papa, il mondo è cresciuto e ha capito l’importanza della biodiversità».

- Una preoccupazione particolare di Papa Francesco deriva dal fatto che il “il paradigma tecnocratico” è diventato dominante e tende ad esercitare il suo dominio anche sull’economia e la politica e ciò ha conseguenze gravi: l’“antropocentrismo deviato” pone “la tecnica al di sopra della realtà” e “non sente più la natura né come norma né come rifugio” e finisce per “non riconoscere più nella realtà l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità”
«È un importante discorso culturale. Spesso oggi non possiamo più dire a un paziente che ha il cancro: “morirai”, perché lui e la sua famiglia si ribellano. Si crede che la scienza abbia un potere illimitato che non ha. La dominanza è ignoranza. La gente non accetta che per qualcosa non vi sia soluzione. Non so se ciò sia legato al paradigma tecnocratico. Io ho visto mia sorella morire di cancro senza potere fare niente. Ho potuto solo assisterla e starle vicino. Nell’incedere di uno scienziato non è possibile non sentire la natura come norma. Certo poi scopriamo come modificarla. Ma l’uso dei risultati di queste ricerche è di altri, di altre sovrastrutture, dell’economia, della politica e non viceversa».

Non teme che questo atteggiamento possa essere irresponsabile? Lo scienziato non deve porsi il problema e impedire un uso distorto delle sue scoperte?
«Il singolo scienziato non riesce. Se mai la comunità scientifica può tentare di influenzare l’opinione pubblica e la politica in questo senso: un esempio l’abbiamo avuto in Italia con la questione Stamina. C’è voluta una presa di posizione di scienziati realmente impegnati nella ricerca sulle cellule staminali per impedire che dei millantatori potessero continuare ad esercitare una pratica clinica non sperimentata, ma peraltro autorizzata dall’organizzazione sanitaria pubblica».

Non vede il rischio di condizionamenti esterni anche nelle modalità di finanziamento della ricerca? Si pensi alla ricerca sostenuta dalle multinazionali del farmaco o a quella militare.
«Innanzitutto c’è la ricerca indipendente, sostenuta dalle istituzioni pubbliche e i cui risultati sono valutati da scienziati, qui non vi sono condizionamenti. Poi c’è la ricerca privata e militare. Per la prima, rispetto alle aziende farmaceutiche, oggi sempre di più si esige un rapporto paritario tra ricercatore e finanziatore, con la possibilità, ad esempio, di pubblicare sia se un certo farmaco funziona oppure no. Non è più come una volta in cui si andava a fare sperimentazioni dove costava poco. È difficile che ci sia una ricerca pilotata. L’ambito militare è un’altra cosa. Ma ricordiamo che le esplorazioni spaziali sono partite per ragioni militari e hanno dato risultati in molti campi civili. I confini qui sono difficili da tracciare».

È particolarmente suggestiva la parte in cui l’Enciclica propone la bellezza come antidoto all’”antropocentrismo deviato”, anche se il Papa riconosce che oggi ciò è particolarmente difficile perché richiede di “rallentare la marcia per guardare la realtà in altro modo”.
«Per uno scienziato la scoperta è bellissima, stupefacente, straordinaria. Anche quando si scopre che la natura fa cose diverse da quelle che si pensava. La scoperta di per sé è il bello ed è quello che muove lo scienziato. Il passo dello scienziato è però sempre, inevitabilmente lento. Quelli che vanno troppo alla svelta noi li guardiamo con titubanza e diffidenza. Lo scienziato serio anche quando fa la grande scoperta deve essere disposto a metterla in dubbio. È un mondo continuamente in divenire. Guardare la realtà in altro modo vuol dire guardare la realtà criticamente, a volte significa tornare indietro e riconsiderare quello che si è fatto. Si va per tentativi. Lo sfruttamento dei risultati della ricerca deve essere un processo ponderato, verificato. Il mio gruppo di ricerca ha ricevuto un finanziamento della Unione europea per esaminare se esiste un nesso tra flora batterica dell’intestino e lo sviluppo delle malattie autoimmuni. Non intuiamo al momento il risultato, potrebbe esserci oppure anche essere un flop: la verifica dei risultati da parte del mondo scientifico ce lo dirà».

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