Innevatori, alti consumi di acqua e di energia

Il clima che cambia. Le conseguenze dei cambiamenti climatici indotti dal riscaldamento globale di origine antropica sono sempre più evidenti anche alle nostre latitudini. Gli ultimi dati della Fondazione Ricerche Cima, aggiornati al 15 febbraio, riportano, in un inverno con temperature oltre la media, un deficit di neve del 45% in Italia, con un picco di -53% nell’area alpina. Nelle località sciistiche, in assenza di neve naturale, si ricorre agli innevatori.

Le conseguenze dei cambiamenti climatici indotti dal riscaldamento globale di origine antropica sono sempre più evidenti anche alle nostre latitudini. Gli ultimi dati della Fondazione Ricerche Cima, aggiornati al 15 febbraio, riportano, in un inverno con temperature oltre la media, un deficit di neve del 45% in Italia, con un picco di -53% nell’area alpina. Nelle località sciistiche, in assenza di neve naturale, si ricorre agli innevatori.

Con temperature oltre la media picco di -53% di neve nell’area alpina

I costi energetici ed economici non sono indifferenti. Un consumo di 600 GWh è stato stimato nel 2019, nel report della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi, per i 23.800 ettari di piste innevabili dell’arco alpino italiano. L’impatto ambientale è determinato anche dal consumo di acqua. Secondo il dossier Alpi del Wwf, con un metro cubo di acqua si possono produrre dai 2 a 2,5 metri cubi di neve artificiale: il consumo medio per innevare un ettaro di pista si attesta a 2.200 metri cubi di acqua. Ogni anno dai 52 ai 95 milioni di metri cubi sono impiegati sulle piste delle Alpi italiane, con una spesa di circa 135 mila euro per ettaro di pista. Moltiplicati per i 23.800 ettari italiani fanno 3,2 miliardi.

Sulle Alpi fino a 95 milioni di metri cubi e 600 GWh all’anno

Un servizio sull’innevamento artificiale si può leggere su eco.bergamo, la rivista di ambiente, ecologia e green economy in edicola domenica 5 marzo gratis con L’Eco (la rivista resta poi disponibile nell’edizione digitale di questo sito). Le condizioni giuste per nebulizzare le gocce d’acqua sono la temperatura dell’aria a –4°C, quella dell’acqua inferiore a 2°C, l’umidità dell’aria inferiore all’80%: se tali condizioni non si verificano, si possono usare additivi che influenzano la temperatura. Ma tale uso può avere impatti sulla flora e la fauna. Secondo le previsioni degli esperti, i prossimi decenni non saranno favorevoli agli sport invernali a causa dei cambiamenti climatici. Massimiliano Fazzini, nivologo dell’Università di Camerino, spiega: «Analizzando i dati e le tendenze recenti, è evidente che nei prossimi 30 anni il limite della possibilità di sciare per 100 giorni potrebbe salire a 1700-1900 metri sia sulle Alpi sia sugli Appennini, dove la pratica sarebbe relegata alle quote sommitali dei maggiori comprensori».

Nei prossimi 30 anni a 1700-1900 metri il limite per 100 giorni di sci

Nella Bergamasca, nella stagione invernale che sta per chiudersi, otto le stazioni sciistiche aperte: la quota minima media è di circa 1200 metri, mentre quella media massima di 1700 metri. Tutte, secondo i dati di skiresort.it, per poter accogliere gli sciatori hanno dovuto attivare l’innevamento artificiale. In un rapporto del dicembre 2022 Banca d’Italia lancia l’allarme: «La neve artificiale può coprire da perdite finanziarie occasionali in anni di scarso innevamento, ma non proteggerà da inverni progressivamente più caldi». E invita a una transizione verso un turismo innovativo per l’ambiente alpino. Intanto sei Paesi europei, tra cui l’Italia, avviano il progetto Interreg - Alpine Space, cofinanziato dall’Ue, per aiutare le destinazioni turistiche invernali a media e bassa quota a mantenere e aumentare l’attrattività per abitanti e turisti nonostante la sempre più critica mancanza di neve.

In Italia rischio di competizione per le risorse idriche

Il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, nel rapporto del 2020 sull’analisi del rischio in Italia, avverte: nell’ambiente urbano, caratterizzato da superfici impermeabili e da poche aree naturali, l’incremento delle temperature, con la maggiore frequenza e durata delle ondate di calore e delle precipitazioni intense, avrà ripercussioni sulla salute, in particolare di bambini, anziani, disabili e persone più fragili. Il rapporto evidenzia come la sicurezza idrica sia un requisito fondamentale per una crescita equa e sostenibile, la competitività delle imprese e la tutela dell’ambiente naturale. I periodi prolungati di siccità, i cambiamenti nel regime delle precipitazioni, la riduzione della portata degli afflussi comprometteranno gravemente la quantità e la qualità dell’acqua disponibile, sia superficiale sia sotterranea. Il rapporto prevede una competizione elevata tra i diversi settori – civile, agricolo, industriale, ambientale, energetico – per la risorsa idrica, destinata a inasprirsi nella stagione calda, quando il fabbisogno aumenta. In una situazione simile le perdite di acqua, in Italia fino al cinquanta per cento per l’inadeguatezza dell’infrastruttura, sono ancora più inaccettabili.

Le città in prima fila nell’adattamento alla crisi climatica

In un servizio di eco.bergamo, in edicola domenica 5 marzo gratis con L’Eco, il ruolo primario delle città nell’adattamento alla crisi climatica è spiegato da uno dei massimi esperti di sostenibilità e clima urbano, Edoardo Croci, economista ambientale, docente all’Università Bocconi di Milano, dove dirige il laboratorio Sur sulla rigenerazione urbana. «Molte leve per ridurre le emissioni climalteranti – ricorda Croci – sono gestite dai Comuni, che governano lo sviluppo edilizio, i trasporti locali, i servizi idrici, i rifiuti, il verde. L’aspetto dell’adattamento è altrettanto importante perché consente di valutare i rischi». Trasporti, energia, telecomunicazioni sono i servizi urbani più vulnerabili. «D’estate le cabine elettriche si surriscaldano, mentre i consumi per gli impianti di condizionamento portano a un sovraccarico delle reti, con danni alle infrastrutture, disservizi, costi. Il manto stradale tende a fondere. Il sistema fognario non è adeguato per piogge ridotte ma più concentrate e intense. I depuratori sono stati pensati in base a determinati modelli di piovosità, prevedendo lo scarico diretto dei reflui solo per pochissimi giorni all’anno e non considerando le piogge intense più frequenti. La progettazione degli impianti deve cambiare».

D. C.

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