Mangiare cibo locale valorizza il territorio

In almeno dieci grandi città d’Europa ci sono riusciti. Ad Amsterdam, per esempio, o a Londra, Bristol o a Rotterdam. Bergamo potrebbe allungare questo elenco di città dove è stato messo a sistema un modello di consumo e di produzione di cibo che guarda al futuro. Bergamo è già avviata su questa strada. Forse però non si è ancora resa conto. E non sa sfruttare questa leva.

Il modello è in atto, guarda alla salubrità dei cibi, alla sostenibilità della produzione degli alimenti, sa valorizzare le produzioni tipiche locali del territorio, programma un’educazione al cibo. Tutto è partito dal territorio, dal basso, spinto dalle numerose iniziative messe in atto da famiglie, gente comune - consumatori già più coscienti e consapevoli -, dalle associazioni della società civile, come Slow Food o come i gruppi d’acquisto solidale (i Gas), oggi più di 70 con oltre 1.500 famiglie coinvolte. Non solo: in provincia di Bergamo crescono in modo significativo anche le forme di partecipazione legate a nuovi stili di vita e di consumo di cibo. Spinte reali che infatti sono state capaci di aggregare e sperimentare anche nuove iniziative come i mercati territoriali e le filiere agroalimentari sollecitando un ripensamento più ampio sulla produzione e sul consumo di cibo in un’ottica locale. È la prima richiesta di un’attenzione verso la salubrità degli alimenti. E la risposta può arrivare solo dalla promozione di un sistema locale del cibo.

Il cibo quindi al centro, e intorno a questo protagonista si costruiscono nuove relazioni. A Bergamo però rimangono isolate fra loro. Se li si osserva con uno sguardo d’insieme queste iniziative spesso assumono proprio la forma di vere reti di innovazione sociale, capaci di ricostruire relazioni di fiducia fra consumatori e produttori, ma anche fra la città e le aree appena fuori i centri urbani. E sono in crescita.

Ora occorre ricucirli in un modello più organico. Questa fotografia è il punto di partenza del progetto Bergamo Consum-Attore, lo studio messo a punto dalla Fondazione Italcementi, con la collaborazione dell’Osservatorio Cores dell’Università di Bergamo. Le indicazioni a cui giunge l’analisi è molto semplice. Bergamo dispone di tutti i meccanismi, i processi e i prodotti che possono incentivare le pratiche di sostenibilità sia nel consumo sia nella produzione di cibo. La filiera agroalimentare di Bergamo è il fulcro di questa nuovo sviluppo. E l’idea di base è proprio di rafforzare il sistema agroalimentare locale in un’ottica ancora più territoriale.

Ma come? Chiamando un altro attore importante. Il cibo del futuro passa soprattutto dai tavoli permanenti di discussione fra consumatori. Da lì nascono i Food Policy Council, i modelli che hanno al centro l’attenzione del cibo verso la salute, stimolano una domanda più consapevole, creano luoghi di incontro fra consumatori e produttori, programmi di educazione . E, in particolare, spingono al coinvolgimento delle amministrazioni locali, il loro ruolo è importante nel sostenere iniziative che nascono dal basso.

Bergamo ha tutto questo: le produzioni tipiche sono alla base di questi nuovi comportamenti, nel garantire sicurezza alimentare e ambientale, sia per l’alto numero che presentano: nove Dop europee per la produzione di formaggi, due Doc per il vino (la Valcalepio e la Docg per il Moscato di Scanzo). Un consumatore cosciente preferirà produttori più responsabili: la vendita diretta o la raccolta diretta in azienda sono modi per accorciare la filiera: oggi sono 400 le aziende che hanno aperto le porte ai clienti. I mercati con prodotti locali o «a km zero» promossi da Coldiretti, Slow Food, Mercato & Cittadinanza, Confagricoltura coinvolgono piccoli e medi produttori della provincia e delle piazze bergamasche come Albino, Corna Imagna, Gandino, Lovere e Salza. Sono oltre 250 le aziende che trasformano direttamente il latte e 34 che hanno un distributore automatico del latte fresco in sede.

Molti i progetti in ballo, da quello scolastico legato agli orti «Seminiamo progetti, coltiviamo conoscenza», al progetto educativo «Mangio locale e penso universale» che collega i produttori locali con le mense scolastiche. Il piano d’azione è pronto: basta legare fra loro tutti i fili che lo compongono.

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