Scuola, lo spreco di cibo entra nelle mense

Assaggiare almeno due forchettate prima di rifiutarsi di mangiare quanto c’è nel piatto. Evitando così di buttare nel cestino tutto il pranzo. Due forchettate di una mezza porzione. C’è qualcuno che arriccia il naso, resiste un po’, ma poi cede. Assaggia. E non di rado poi finisce anche tutto quanto ha nel piatto.

Funziona così il piccolo compromesso fatto con ciascuno degli 11.500 alunni e studenti di Bergamo città e con ognuno dei 74mila ragazzini delle scuole della provincia - dall’asilo nido, alle primarie fino alle scuole medie - per frenare un fenomeno che a Bergamo ha assunto dimensioni veramente preoccupanti, spesso vergognose: la quantità enorme di cibo buttata nella spazzatura. Oltre 70 tonnellate fra pasta, carne, verdura e frutta ogni giorno finiscono nel cassonetto. Per non parlare del pane: 5 tonnellate ogni mese va in pattumiera. Sono stime per difetto.

Nell’anno dell’Expo, in cui si celebra l’importanza, il valore e il significato sociale del cibo, l’Asl di Bergamo, con il progetto messo a punto da Lucia Antonioli, medico a capo dell’Area igiene degli alimenti e sicurezza nutrizionale, punta tutto su una nuova strategia, in stretta collaborazione con insegnanti e genitori per «ridurre gli sprechi a tavola, e contrastare questa cultura ormai dominante dello spreco. Sì, siamo a questo punto: che se si rompe una stringa, buttiamo le scarpe» sottolinea Antonioli.

L’azione è iniziata in molte scuole già da questa seconda metà dell’anno scolastico, dopo un anno intero di messa a punto delle nuove regole. Treviglio, Calusco, Brusaporto e Nembro fra i primi ad applicarle. Ma da settembre tutti gli istituti comprensivi adotteranno in mensa il nuovo decalogo: ad ogni alunno verrà servita solo una prima mezza porzione, l’impegno è di assaggiarne almeno due forchettate. Poi, a lui la scelta di chiedere anche l’altra metà. Altrimenti quella metà non consumata resta nella teglia e così può essere nuovamente redistribuita.

Altro punto altrettanto qualificante di questa nuova strategia, infatti, è l’aver fatto accordi con le tante associazioni onlus e di volontariato sul territorio per individuare chi ha più bisogno, quelle famiglie con più difficoltà e a loro far arrivare i pasti non consumati nelle mense scolastiche.

Nella scuola primaria del Comune di Brusaporto si è fatto anche di più. «È stato determinante il lavoro e l’impegno delle insegnanti - spiega l’assessore comunale all’Istruzione, Mattia Signorelli -: ogni giorno venivano buttati bidoni interi di cibo, era insopportabile. Così da febbraio abbiamo fatto un esperimento: tutti i giorni, con le maestre, dopo aver mangiato i bambini pesavano quanto restava nei loro piatti e destinato a finire nei rifiuti. Lo stupore era evidente, una sorpresa anche per loro constatare direttamente quanto cibo veniva buttato via, quante porzioni erano state sprecate e quanti altri bambini avrebbero potuto mangiare con i chili di cibo che loro scartavano - spiega Signorelli -. Un’esperienza che li ha aiutati molto, li ha resi tutti molto più consapevoli e responsabili dei propri comportamenti. Così un giorno abbiamo fatto un patto con i bambini: si prende mezza porzione, ma da noi la si mangia tutta». Ma il Comune ha fatto anche un altro passo in avanti. Dopo una prima prova, è stato fatto un accordo con l’associazione onlus del paese “Gruppo Speranza”. Ora, riescono a garantire pasti tutti i giorni anche a diverse famiglie fra le più bisognose.

La messa a punto di tutta la strategia è iniziata un anno fa, quando il dipartimento Asl di Lucia Antonioli ha deciso di avviare un’indagine capillare per capire come mai tutto quello spreco di cibo e tentare di riportare gli avanzi intorno a quel 10-15% che si considera fisiologico.

«Pensavamo fosse sbagliato il menù, che non incontrava il gusto dei bambini, poi che fossero sbagliate le modalità di cottura, una differenza, per esempio, fra la cucina interna e i pasti forniti dall’esterno. Abbiamo verificato, ma non trovavamo nulla che potesse influire e dare una spiegazione. L’analisi fatta dalle strutture Asl sulla qualità dei cibi ha sempre dato risultati di alto livello. Sono state escluse perfino le tanto famigerate merendine dell’intervallo, visto che ormai da un anno nelle scuole viene distribuita solo frutta. Siamo andati oltre nella nostra analisi. E quando abbiamo rilevato che non solo veniva avanzato più della metà dei piatti serviti, ma che venivano scartati cibi comuni e solitamente più ambiti come la pasta al pomodoro, le lasagne, la polenta o perfino la pizza – spiega Antonioli – allora abbiamo capito che alla base mancava veramente una sensibilità, vorrei dire quasi un’assenza di rispetto del cibo». L’esempio più efficace Antonioli lo indica guardando i suoi tabulati: è un martedì, su 1.480 porzioni di cosce di pollo arrosto servite, 980 sono finite nella spazzatura. «Nemmeno una è stata toccata. E sa perché: per via della pelle dorata. Ma questo è un piccolo esempio. Ancora: abbiamo provato a contare scarti di 200 piatti di bresaola su 250 messi in tavola. Degli oltre 74mila pasti che vengono serviti in tutte le scuole della provincia di Bergamo – racconta Antonioli -, in media 6 porzioni su dieci vengono buttate via, con punte fino al 70%».

“Ridurre lo scarto” è lo slogan sottostante all’iniziativa dell’Asl e delle scuole bergamasche. E per questo obiettivo si è messo in campo ogni sorta di misura. L’ultima ha coinvolto anche le società di ristorazione che forniscono i pasti alle scuole. Ogni Comune su indicazione dell’Asl, ha inserito , infatti, nel capitolato del bando per assegnare il servizio di refezione scolastica un punteggio maggiore a quelle società che nella loro offerta presentano anche accordi con associazioni onlus del territorio a cui distribuire i pasti rimasti nelle teglie e non consumati.

«Tentiamo così di abbinare un approccio educativo con i ragazzi, facendo capire il valore e il rispetto per il cibo, e un fronte sociale e di solidarietà, aiutando chi ha bisogno. Non vogliamo più sentirci rispondere, come è capitato, che quanto viene avanzato nelle nostre mense non riesce a smaltirlo nemmeno un allevamento di animali».

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