Le aziende anni '50, Giacomo:
«13 mensilità, due tute, la colonia»

A Giacomo Poretti - del trio di Aldo, Giovanni e Giacomo - è stato affidato dalla Fondazione Italcementi, dopo il fuoco di fila degli interventi, il compito di intrattenere tutti con un intervento più «leggero». Giacomo ha raccontato  degli - anni '50 e inizio '60 - quando il sogno era essere assunti in fabbrica.

A Giacomo Poretti - del trio di Aldo, Giovanni e Giacomo - è stato affidato dalla Fondazione Italcementi, dopo il fuoco di fila degli interventi, il compito di intrattenere tutti con un intervento più «leggero».

Giacomo ha raccontato aneddoti della sua vita, dell'epoca - anni '50 e inizio '60 - in cui il sogno era essere assunti in fabbrica: come premio si avevano 13 mensilità garantite, due tute da lavoro e la colonia estiva per i figli.

Un intervento che ha strappato qualche risata e tanti sorrisi, ma che ha raccontato anche - alla maniera di Aldo, Giovanni e Giacomo ovviamente - quello che sta accadendo nel mondo di oggi.

«Sono nato nello stesso paese, Villa cortese, dove è nato un certo Franco Tosi. Lui è venuto al mondo nel 1850, io un secolo dopo. Lui ha fondato un'azienda pionieristica che negli anni 70, periodo di maggiore sviluppo, impiegava 6.000 lavoratori. Mio nonno, mio papà, il fratello di mio papà ed io, abbiamo tanto desiderato di essere assunti alla Franco Tosi negli stabilimenti di Legnano, a 15 minuti di bicicletta dal nosto cortile.

Perchè se venivi assunto alla Tosi la tua vita prendeva la strada della sicurezza: tredici mensilità assicurate per te e per la tua famiglia, due tute blu all'anno e la colonia marina sull'Adriatico per i figli.

A Legnano c'è stato un periodo che il curato fungeva da ufficio di collocamento, e se proprio non gli eri antipatico, al curato, un posto alla Tosi saltava fuori. Benchè mio padre cantasse nel coro della parrocchia, lo zio pure e il nonno non avesse mai mancato una messa domenicale delle 11, nessuno della mia famiglia è mai stato assunto alla Franco Tosi.

Niente di personale, pura casualità; mio nonno ha poi fatto lo stradino, teneva pulite le strade e le aiuole del paese, mio papà e mio zio sono stati assunti in un'altra fabbrica che faceva macchine da cucire per l'industria: la Rimoldi, poi Rockwell, 1100 dipendenti a 18 minuti di bicicletta, tredici mensilità, 2 tute blu all'anno e colonia marina in Liguria e in valle Imagna.

Ho odiato entrambi i posti, le colonie intendo, in particolare quella di Pietra Ligure. Ma se non era per gente come i Tosi e i Rimoldi, milioni di bambini in quegli anni non avrebbero mai visto il mare.

C'è stato un periodo che Legnano era solo un'enorme estensione di fabbriche: meccaniche , tessili, elettromeccaniche. Tu nascevi e quando ti battezzavano il prete era in grado di indicarti il tuo destino: Cotonificio Cantoni, officine Pensotti, De angeli Frua.... Il prete mi guardò , poi guardò mia madre e disse: suo figlio ha la faccia da terziario, mi piace poco...

La prima volta che ho conosciuto la fabbrica è stato intorno ai 4 anni. Mamma e papà di mestiere facevano gli operai. La mamma lavorava alla Giulini & Ratti una tessitura, tra i telai, gliene avevano affidati 25, tra il primo e il venticinquesimo c'erano quasi 60 metri di distanza e per poterli governare le avevano dato una bicicletta. La mamma mi diceva che la cosa brutta della tessitura non era la fatica, ma il rumore assordante e continuo.

La mamma dopo quasi 30 anni di rumore non ci sentiva tanto bene, è andata da diversi dottori e adesso ogni 2 mesi riceve 280 euro, si chiama pensione parziale di invalidità.

Il papà invece faceva l'operaio metalmeccanico. Era un fresatore e per 8 ore al giorno dava forma ad un pezzetto di ferro, lo ha fatto per 35 anni, sempre la stessa forma. Lui diceva che in quella fabbrica si stava bene, non c'era rumore ma in compenso in mensa si mangiava male.

Quando mamma e papà dovevano fare il turno del mattino, dalle 6 fino alle 14, allora ci svegliavano a me e a mia sorella, ci vestivano, e poi mia sorella veniva sistemata nel seggiolino ancorato al manubrio della bicicletta della mamma, io invece mi sedevo sul sellino sistemato sopra la ruota posteriore: abbracciavo i fianchi della mamma e appoggiavo la guancia sulla sua schiena così riuscivo a dormire ancora un pochino mentre la mamma pedalava fino alla casa di una delle nonne e lì stavamo fino a che non veniva a prenderci il papà a fine turno.

Quando io e mia sorella eravamo piccoli non c'erano le tate e le badanti, quindi i bambini quando i genitori andavano in fabbrica stavano con i nonni. Per  cinque giorni della settimana io chiedevo sempre alla mamma perchè ci si svegliava così presto , lei diceva “perchè dobbiamo andare in fabbrica”, “ anch'io mamma ci devo andare?”, “ no..... tu non andrai mai in fabbrica, tu devi andare in banca!”, “ adesso mamma ci devo andare in banca? ma io ho sonno”, “ non adesso, andrai in banca quando sarai cresciuto!”.

Mi sono sempre chiesto se non sono cresciuto per paura di finire in banca, o perchè mi svegliavo troppo presto al mattino.

La seconda volta che ho conosciuto la fabbrica avevo 13 anni, da poco finita la terza media, sono andato a lavorare in un capannone dove facevano delle cancellate in ferro pesantissime. I miei genitori per un mese non mi hanno rivolto la parola: il preside aveva detto che ero un allievo dotato che sarei stato un bravo avvocato.

Io semplicemente mi vergonavo: nessuno nella mia discendenza era andato oltra la quinta elementare, qualcuno ci era arrivato con fatica, qualcun'altro si era fermato in terza, ed io che dovevo fare? Istituto per geometri o ragionieri? Siii, imploravano gli occhi della mamma; neanche per sogno dissi io, fabbrica e al massimo scuole serali!

C'è stato un periodo in cui indossare quella tuta blu sporca di olio e di grasso, tornarsene a casa alla sera esausto e cercare di lavarsi le mani che non venivano mai pulite per davvero, avere quelle mani ancora sporche di nero anche il sabato e la domenica, era un segno distintivo e di orgoglio, un'orgoglio che nasceva dalla povertà, dall'ignoranza e che chiedeva dignità, chiedeva risarcimento. Quell'orgoglio di indossare la tuta blu chiedeva alla vita di essere risarciti per averci fatti partire un quarto d'ora dopo il via.

Dopo  due settimane che lavoravo in quella fabbrichetta (tre padroni e  quattrro operai di cui 2 apprendisti), mi ero già pentito: non si poteva parlare, se smettevo un'attimo di battere il martello sulla lamiera il principale premuroso mi chiedeva se ero stato colto da una paralisi, io in silenzio lo mandavo a quel paese e mi dicevo che prima o poi sarei andato a lavorare in una fabbrica seria.

A volte la vita in fabbrica era dura, tornavo a casa alla sera e mi dicevo che dovevo inventarmi qualche cosa per rendermi autonomo, dovevo vivere del mio lavoro, avere un idea che poi avrei scambiato con il vicino, una sorta di baratto. Una volta ho pensato di fare il calzolaio: io avrei risuolato le scarpe al vicino, in cambio della riparazione del carburatore del mio motorino visto che lui faceva il meccanico.

Poi sarei andato a comprare, anzi a scambiare, una cotoletta dal macellaio in cambio della sostituzione dei tacchi delle scarpe della moglie. Ma poi iniziavano i problemi: se mi viene voglia di mangiare un gelato al pistacchio e il gelataio non ha scarpe da risuolare? Quanti tacchi devo cambiare per avere in cambio un televisore  lcd da 42 pollici? E soprattutto non posso, se facessi il macellaio scambiare la carne con un'idraulico vegetariano.

E così che nasce l'accumulo, la necessità di inventare i crediti, i debiti e la moneta, e quella è la fine. Per almeno 2 o 3 anni ho aspettato che arrivasse una lettera dalla Tosi, ma niente, anzi cominciavano a non assumere più nessuno e a proporre i prepensionamenti, non solo alla Tosi ma in tutte le fabbriche del legnanese.

E precisamente in quel momento è come se fosse iniziata una nuova fase in cui il lavoro manuale dava fastidio, era meglio farlo fare  all'estero, in quei paesi sfigati dove costava tutto meno, noi eravamo stanchi di fare i soliti lavori e finalmente liberandoci della fatica della fabbrica, dello sporco della fabbrica, avremmo vissuto di alto valore aggiunto nei servizi, avremmo tutti fatto dei lavori fighissimi: dall'accaunt, al cheef manager, all'executive assistant to president, fino all'executive assistant to drink to president, passando dal make up artist to wife of president, al vice boy lift to president, all'assistant buyer e tra un happy hour un lunch un brunch e un punch qualcuno sarebbe anche diventato un Suprime Superior Super President.

Consentitemi una banalità: non ci sono più le fabbriche di una volta, così come non ci sono più i comandanti di navi di una volta; una volta c'erano le fabbriche che facevano gli oggetti, ora ci sono quelle che fanno la finanza; una volta prendevi una nave per andare in America, adesso pronoti una nave lunga 200 metri e ti portano a vedere la luna sugli scogli.

Una volta la classe operaia pensava al suo orgoglio e a come riscattarsi e gli imprenditori con i loro capitali e la loro creatività avevano come compito di dare ad ogni famiglia il frigorifero, la tivù , la lavatrice, e il benessere a tutto il Paese. Ora che l'operaio ha gli stessi iphone del suo datore di lavoro come la mettiamo?

Adesso abbiamo l'ossessione del Pil, dei consumi che non possono diminuire altrimenti il paese va a rotoli. Nel 2002 siamo andati a N.Y per girare un film e su i taxi a Manhattan il sindaco Bloomberg aveva fatta affiggere una targhetta metallica che diceva: spendete i vostri soldi, il Paese è in recessione.

Mio padre avrebbe detto: risparmia i tuoi soldi, domani potresti averne bisogno. Chi ha ragione il Sindaco di N.Y o mio padre? Non lo so però oramai il consumo è la nostra dittatura quotidiana e poi una certa visione del liberismo si è imposta.

Mi spiego: per liberismo, secondo me che non ho fatto studi in economia e potrei anche sbagliarmi, è da intendersi quella particolare visione del mondo per cui il mercato, anzi il Mercato, deve essere libero di agire, non deve  avere eccessivi vincoli, anzi nessun vincolo. La libertà di impresa, anzi la Libertà d'impresa, deve essere appunto libera di creare. Anche se, per caso, le venisse voglia   di elargire dei mutui a centinaia di migliaia di persone, che hanno scarsissime probabilità di rimborsare il debito, anzi nessuna possibilità di rimborsare il debito,  in molti casi uguale al 102% del valore della loro casa.

Si perchè le banche del Liberismo sono generose ed oltre alla casa sanno che avrai bisogno delle tende a pacchetto e del parquet in rovere naturale e loro, le banche generose, ti finanziano anche quello perchè ti vogliono felice nella casa che hai appena comperato, non vogliono che tu ti intristisca a pensare alle rate del tuo mutuo; se alle banche viene voglia di dare una bella casa a tutti gli americani, anzi ad alcuni una bellissima casa con piscina e alla maggior parte una casa con l'ipoteca, ecco le banche devono poterlo fare.

Se poi a quelle banche venisse voglia di girare ad altre banche quei  mutui sotto forma di obbligazioni, anzi fior fiore di obbligazioni, e venderle ai propri clienti  garantendo che sono investimenti redditizi e sicuri, anzi talmente sicuri da avere la tripla A, se questo è il desiderio delle banche devono poterlo fare, perchè giova ricordarlo al Liberismo stà a cuore come dice la parola stessa, la Libertà.

Se poi, per ragioni oscure e sconosciute ai guru di Wall Street e ai Cheef  Manager ma logicissime ai bambini di 3 anni e alle loro nonne di 82,  i proprieteri delle case nel Missouri o del Tennesse, i famosi intestatari dei mutui al 102%, scoprono non solo di non possedere denaro sufficiente per pagare la tinteggiatura delle pareti, ma nemmeno la metà del necessario per coprire la prima rata di interessi, alcuni proprietari di mutui, anzi tutti i proprietari di mutui, vanno in banca e dicono di non poter pagare, che succede?

Don't worry be happy: l'impiegato di banca ritira il mutuo e consegna all'insolvente un kit di sopravvivenza che è composto da: tenda ad igloo per 2 persone color verde speranza e un sandwich vegetariano, perchè le banche si preoccupano della salute dei propri clienti.

Poi l'impiegato,dopo essersi licenziato da solo, telefona al Direttore ma trovando la segreteria telefonica lascia questo messaggio: “Ve lo avevo detto che questi mutui erano una pirlata...”.

Ora che un sacco di persone vivono in tende color verde speranza, che molti impiegati di banca si sono licenziati, e che molti Direttori, anzi quasi nessuno ha perso il posto, possiamo tirare la morale: il Mercato deve essere libero, anche di sbagliare. E quand'anche sbagliasse e molte banche in giro per il mondo (si perchè i mutui del Tennesse e del Kansas sono finiti in tutto il pianeta), fallissero in ragione della libertà e della creatività d'impresa, le stesse banche fallite devono avere la Libertà di chiedere allo Stato, anzi allo stato, di rifinanziare il loro disastro. E lo stato non può rifiutarsi perchè la prerogativa dello stato non è la libertà ma il servizio e il soccorso dei suoi cittadini, anzi di alcuni cittadini.

Pemettetemi una seconda banalità: l'idea del consumo a tutti i costi ci porta alla follia...

Recentemente l'unione commercianti della città di Milano ha fatto proprio uno degli ultimi ed innovativi studi sulla psicologia del compratore: i negozi dovranno avere sempre la porta aperta, anche in inverno, perchè altrimenti, la porta chiusa verrebbe vissuta come un ostacolo al legittimo desiderio dell'acquisto.

Di questo passo tra un pò l'Associazione dentisti si farà promulgare una legge che consentirà al dentista di poter passare una volta ogni sei mesi casa per casa per effettuare la pulizia dentale altrimenti nessuna uomo dotato di senno e di tartaro lo farà mai di sua spontanea volontà; o che il tappeziere dovrà rinnovarti la carta da parati di sua iniziativa una volta all'anno perchè altrimenti se dipendesse dal propietario di casa il paese piomberebbe in recessione.

Obiettivamente è un momento difficile: se uno non cambia il parco scarpe due volte all'anno rischia di essere considerato nemico della patria.
Mi vengono in mente le parole di Robert Kennedy, non proprio un nemico del mercato, nel famoso discorso sul pil, 1968:

Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.

Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani. Finisco con l'ultima banalità: che nostalgia la Franco Tosi che costruiva le case, le scuole e gli asili per le famiglie degli operai; mi mancano da morire persino le colonie di Pietra Ligure. Certo non tutta, ma quella classe imprenditoriale sentiva dentro sensibilità particolari, la finalità della loro avventura imprenditoriale non si esauriva al profitto personale ma si estendeva sino ad assumersi responsabilità sociali.

Ho conosciuto qualche anno fa un imprenditore della grappa, vive a Percoto e 20 km da Udine, un giorno mi disse che un'uomo nella vita deve costruirsi una casa, fare i soldi con il proprio lavoro e quando i soldi sono arrivati bisogna aiutare gli altri.

Gente e imprenditori in via d'estinzione. Non so come aiutino gli altri, di sicuro aiutano la cultura da 30 anni assegnando un premio a letterati e poeti nel mondo che si sono distinti con le loro opere. Quest'anno premieranno un teologo, un poeta cinese, ed uno storico britannico. Gente che fa la grappa, una delle innumerevoli eccellenze italiane».

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