Jannone soddisfatto:
«Ho creato dibattito»

Dice che con sei associazioni in campo, «si è perso il conto» dei soci. «Però sono certamente migliaia e migliaia». Così Giorgio Jannone, alla guida della lista «Ubi Banca - ci siamo» nella corsa al rinnovo.

Dice che con sei associazioni in campo, «si è perso il conto» dei soci. «Però sono certamente migliaia e migliaia». Così Giorgio Jannone, alla guida della lista «Ubi Banca - ci siamo» nella corsa al rinnovo.

Lei ha iniziato una dura battaglia un anno e mezzo fa. Perché?
«Molte persone si sono rivolte a me per il crollo del titolo e dei dividendi e molti investitori che hanno condiviso con me operazioni sulle banche, in particolare sul Credito Bergamasco, continuavano a chiedermi cosa stava succedendo».

A proposito del Creberg viene spesso ricordato il suo ruolo, era presidente degli azionisti, nella vendita al Credit Lyonnais. Lei inoltre ha proposto un disegno di legge per la trasformazione delle banche popolari in Spa. Oggi dice di aver cambiato idea. Perché un socio Ubi dovrebbe crederle?
«Perché entrambe questi accadimenti hanno come co protagonista il paladino di Ubi, cioè il presidente Zanetti: ha partecipato al mio patto di sindacato e mi ha affidato la prima bozza del disegno di legge per la trasformazione delle popolari in Spa di diritto speciale».

All'assemblea del 2000 della Popolare Bergamo lei si lamentava della quotazione e indicava come esempio «i notevolissimi risultati» conseguiti dalla Popolare di Brescia grazie, fra l'altro, alla trasformazione in Spa. Bipop non finì benissimo.
«Non finì benissimo perché ci fu un intervento veramente forzato da parte del governatore della Banca d'Italia d'allora. Ma la modernizzazione di Bipop, non la trasformazione in Spa, certamente è sfuggita a Ubi. Si pensi a Fineco, è quello che intendevo, oggi punta di diamante della tecnologia bancaria. Ubi è rimasta vecchia».

Se ha ripudiato la Spa, cosa oggi la spinge a favore della cooperativa?
«Credo fortemente che non debbano più esistere i padroni. Le aziende hanno una precisa funzione sociale. L'ideale sarebbe un'azienda posseduta in buona parte anche dai dipendenti. Il sistema cooperativistico se incentivato può essere la chiave di volta. Per esempio, anziché dare incentivi ai manager, andrebbe favorito l'acquisto di azioni da parte dei dipendenti».

Nella sua battaglia di oggi quindi non ci sono interessi personali?
«I miei interessi coincidono con quelli di altri azionisti».

Tra i firmatari per la sua lista figurano: J Capital, Pigna Enveloppes, Bjc Spa, Jaguar Spa, Pigna Trade, Cartiere Paolo Pigna e Rilecart. Quanto avete in tutto di Ubi?
«Queste società, tranne J Capital che detiene un numero rilevante di azioni, hanno 250 azioni l'una, il minimo per essere soci».

Qual è la situazione debitoria della Pigna verso Ubi?
«Pigna è stata trattata malissimo da Ubi negli anni. È una delle tante imprese del territorio e della bergamasca che non riceve nessun tipo di finanziamento da Ubi o pochissimo. Ubi ha l'indice di concentrazione di affidamenti più alto d'Italia: vuol dire che solo poche imprese, sempre le stesse, ottengono una mole di finanziamenti gigantesca. Meglio concedere affidamenti alle tante piccole e medie imprese locali, aiutandole e ripartendo il rischio».

Lei rivendica il merito di aver aperto il confronto su Ubi. Ma ha creato dibattito o anche confusione?
«Il merito di aver creato dibattito mi è stato riconosciuto anche da Moltrasio. Quello che non mi piace di questo momento è che siamo tutti finiti in un innalzamento dei toni eccessivo. L'ha fatto Zanetti con Masnaga, la banca con la tracciabilità, io in diverse occasioni, adesso lo fa Resti con la banca. I toni sono molto alti, forse troppo. E impediscono di concentrarsi sulle proposte programmatiche. Noi abbiamo nove punti: valorizzazione dei dipendenti, sostegno del valore del titolo, riduzione del numero e del compenso degli amministratori, inserimento negli organi sociali di rappresentanze dei lavoratori, trasparenza assoluta dell'attività creditizia svolta, sensibile riduzione delle consulenze esterne, attivazione di alti livelli di servizio per la clientela, aumento degli affidamenti concessi alle piccole e medie imprese e innovazione tecnologica».

L'anno scorso dopo tanti attacchi votò a favore del bilancio. Quest'anno come giudica i risultati?
«Ho votato a favore perché non si scherza con un'azienda quotata. L'anno scorso mi sono spaventato del consenso avuto in assemblea: un voto contro avrebbe avuto ripercussioni negative. Sul bilancio di quest'anno il giudizio l'hanno dato gli analisti e i mercati: alla presentazione le azioni Ubi sono state più volte sospese al ribasso».

Ubi è tra le poche banche in utile e con dividendo. Non basta?
«No. È stato dato un dividendo simbolico perché questa non fosse la prima assemblea senza cedola. Ma ci sono poste di bilancio che preoccupano: un costo del denaro che non ha corrispondenza con altre banche e la scarsa svalutazione dei crediti in sofferenza. E quel poco di margine che si è ottenuto, è dato dalla differenza fra il costo del denaro della Bce e la speculazione sui titoli di Stato».

Lei contesta il trading sui titoli di Stato. In un'economia ferma, avrebbe rinunciato ai proventi finanziari?
«Non contesto che si faccia ricorso a questo tipo di speculazione. Contesto che non è arrivato denaro alle piccole e medie imprese e alle famiglie che l'hanno chiesto e non l'hanno ottenuto. Ma la cosa più grave è che le imprese fanno fatica a ottenere fidi e poi la banca ha invece finanziato operazioni finite in default di notevole gravità, in particolare nel leasing».

L'esposto di Lannutti alla Procura di Milano su presunte «condotte censurabili» con riferimenti anche a Ubi Leasing però è stato archiviato.
«Non lo so. Non mi risulta. Le ispezioni della Banca d'Italia hanno portato a rilievi molto pesanti».

Compensi agli amministratori. È previsto uno snellimento dei consigli e un taglio del 20%. Basta?
«No. I compensi andrebbero strettamente legati ai risultati e il numero degli amministratori almeno dimezzato. Meglio investire sui dipendenti».

Lei ha sempre elogiato i dipendenti. Come crede abbiano giudicato i suoi attacchi alla banca e come intenderebbe valorizzarli?
«Le mie critiche sono venute in massima parte proprio da quanto mi hanno raccontato i dipendenti. Sono venuti da me spesso piangendo. Credo che ci sia molta voglia di cambiamento. Certo inciderà parecchio il tema della tracciabilità del voto (Ubi ha dato ulteriori assicurazioni in materia - ndr). È chiaro che i dipendenti hanno timore, anche sulla scia dell'effetto Masnaga, di poter essere puniti se votano contro la prima lista. Molti mi hanno detto che non verranno e questa non è una buona cosa».

Cosa prevede per il 20 aprile? Punta al secondo posto o teme il terzo?
«Dipende da alcune variabili. Prima: numero di presenti. Seconda: l'uso corretto delle deleghe. Terza: la segretezza assoluta o meno del voto. Quarta: la provenienza dei soci, ovvero la percentuale di dipendenti e la provenienza geografica: credo ci sia una quota di indecisi più alta fra chi è più lontano da Bergamo e Brescia. Queste variabili cambieranno molto l'andamento dell'assemblea. Io sono già molto soddisfatto di quanto ottenuto fino ad oggi. Ritengo che la terza lista non abbia chance né di vincere né di arrivare seconda e le altre due se la giocano. Devo dire comunque che ho grande rispetto sia per Resti, di cui apprezzo il modo di porsi, sia per Moltrasio, che conosco da tempo».

Silvana Galizzi

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