Giovani senza lavoro a rischio
A Bergamo 30 mila posti in meno

In soli tre anni il numero degli occupati under 35 è diminuito di più un milione. Anche nella provincia di Bergamo i numeri sono elevati: si parla di circa 30 mila posti.  Numeri che spianano la strada verso il precipizio sociale.

All'indomani della pubblicazione da parte dell'Istat dei dati sull'andamento occupazionale degli under 35 italiani, il Gruppo Giovani della Fim Cisl di Bergamo esprime forte preoccupazione rispetto agli scenari che un così elevato tasso di disoccupazione giovanile potrebbe tratteggiare sul nostro tessuto sociale.

La fotografia fatta dall'Istat è impietosa e dipinge un vero e proprio dramma sociale: in soli 3 anni il numero degli occupati under 35 è diminuito di più 1 milione. Anche nella provincia di Bergamo i numeri sono elevati: si parla di circa 30 mila posti.  Numeri che spianano la strada verso il precipizio sociale.

«Come avevamo già dichiarato nella stagione congressuale appena conclusa - recita una nota del Giovani FIM di Bergamo -, un  Paese che accetta passivamente che i propri figli restino fuori dal mercato del lavoro è un paese che accetta silenziosamente di non avere un futuro. Noi non vogliamo rassegnarci ad accettare numeri del genere anche perchè non ci scordiamo che dietro i freddi numeri della statistica si nascondo persone in carne ed ossa con le loro legittime ambizioni e aspettative falciate, invece, da una dura realtà fatta di fallimenti ed esclusioni. La nostra provincia e il nostro Paese hanno raggiunto oramai tassi di occupazione generale da allarme rosso. La percentuale che la disoccupazione giovanile ha toccato rappresenta, purtroppo, la faccia di un'unica medaglia, una medaglia ormai ossidata da un'assenza infinita di politica industriale che ora, impietosa, ci presenta impietosa il conto».

«Per questi motivi - continua la nota - chiediamo alla politica che il tema del lavoro, per sua stessa natura mai settoriale nè classista, venga messo definitivamente in cima alle priorità da affrontare. Non ci bastano piccoli, seppur utili, incentivi alle Aziende che assumono: sarebbe come rassegnarsi a una cura placebo. Pretendiamo una seria politica industriale che agisca all'origine del problema, che sappia dare uno scossone al nostro tessuto economico e produttivo e, attraverso la ricerca, l'innovazione e gli investimenti, ridare fiato all'occupazione».

«Vogliamo riprendere ad affrontare anche il "nodo pensioni", legato alla questione occupazionale, e che riguarda tutti: riguarda i lavoratori più anziani che vedono sfilarsi l'agognato riposo in prossimità del traguardo tenendo, loro malgrado, fuori dal mercato del lavoro i propri figli; riguarda gli anziani disoccupati che sperano in un lavoro per maturare gli ultimi anni che consentirebbero loro di agganciare la pensione; riguarda le donne, penalizzate doppiamente in troppi casi; riguarda l'esercito degli esodati e dei salvaguardati che aspettano ancora risposte e diritti; riguarda i giovani, quelli che dovrebbero, giustamente e solidaristicamente, pagare l'assegno ai pensionati di oggi e che invece, senza lavoro, stanno creando le basi per la loro stessa povertà di domani».

«L'indagine dell'Istat dice, però, chiaramente che è finito il tempo delle analisi, della politica di partito tesa più all'autoconservazione che alla ricerca del bene comune; è giunto il tempo dell'agire se non voglimo vedere andare in fumo il presente e il futuro di un Paese che, invece, non vuole rassegnarsi».

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