Burini, mezzo secolo
di camice perfette

Tra Longuelo e Curno, una parabola di eleganza lunga oltre mezzo secolo: finalmente, alle soglie degli 80 anni, il «re delle camicie» trova il tempo per voltarsi indietro e raccontare la sua avventura industriale. Per Giuseppe Burini il concetto di qualità, cavalcato fino alla nausea in tempi recenti, era già un credo a metà anni Cinquanta, unito a un rigore assoluto nel confezionamento delle sue «creature». Le sue aziende, dalla Burini Spa, fino alla più recente «Eugenio B» di Curno sono sempre state sinonimo di «camiceria a 5 stelle», pezzi esclusivi dove il camiciaio è ancora assoluto protagonista, in cui il capo resta rigorosamente artigianale.

Accanto a questa filosofia, l'altra capacità dei Burini è stata quella di aver lavorato sempre insieme, fratelli, sorelle, mogli, cugini, nipoti. Un clan familiare dalla conduzione agile e snella, che ha sempre favorito «il gioco di squadra» con i dipendenti, tra cui molte donne, madri di famiglia col problema di conciliare figli e lavoro, consapevoli di poter trovare nei Burini interlocutori disponibili al dialogo.

«Fin da giovanissimo - ricorda Giuseppe Burini - cercavo di darmi da fare: ho fatto il garzone in salumeria, l'aiuto elettricista, fino a quando Massimo e Tullio Masserini, una famiglia di motociclisti, mi presero nel loro negozio di tessuti in via Mai: qui cominciai a prendere confidenza col settore abbigliamento». Erano gli anni Cinquanta, c'era voglia di rinascita per gli italiani usciti a pezzi dalla guerra, «ma sufficientemente incoscienti - ricorda lui - per tentare strade nuove: così mia sorella Gelmira e la mia fidanzata Maria, oggi mia moglie, diventate camiciaie, mi tentarono in questa avventura. Cominciammo a produrre nel 1954 in una cucina, capi già di buona qualità per la ditta di Luigi Tassetti di Petosino. Appena fu possibile, coi proventi dei primi anni, fondai nel 1956 la Incab, Industrie Camicerie Bergamo, in società con Piero Cinquini».

Per Burini è il primo grande salto a livello imprenditoriale: si passa infatti dai 10 dipendenti della società fondata con la sorella ai quasi 200 della Incab, in grado di «sfornare» oltre 1.800 camicie al giorno. Ma la vocazione di Giuseppe non è legata alla produzione su larga scala, bensì all'alta gamma. «Volevo tornare alla camiceria d'autore - spiega - sull'esempio della grande scuola napoletana del dopoguerra. Così nel 1966 fondai la Burini spa in via Locatelli, con 35 dipendenti, che aveva come mission la camicia sartoriale, creata su misura per la clientela, che cominciava ad arrivare un po'da tutta la Lombardia e dalla Svizzera e un'attenzione maniacale al particolare: dai bottoni in madreperla alle asole e ai polsini curatissimi, dalla vestibilità al disegno perfetto, fino alle iniziali ricamate». Dalle 1.800 camicie al giorno, a quel punto la produzione in Burini torna vorticosamente a scendere in nome della precisione assoluta: «Ogni dipendente confezionava 4 camicie al giorno ma erano letteralmente pezzi unici, rispetto a un'azienda normale in cui un lavoratore poteva arrivare a confezionarne anche 20-25. Io non chiedevo mai di fare in fretta, ma di fare bene».

Sono gli anni in cui il nome Burini comincia a circolare nel circuito dell'alta moda italiana e internazionale e non mancano gli incontri e i clienti speciali, «come quando - ricorda Eugenio Burini, fratello minore di Giuseppe e responsabile delle vendite - il grande John Wayne venne a sapere di noi da un suo amico italiano e ci ordinò 12 camicie di seta nera. Ma sono tanti i clienti vip sparsi per il mondo, dai politici agli industriali, dagli sportivi agli attori come l'ex 007 Pierce Brosnan». Poi ci furono le forniture eccellenti, come quel facoltoso cliente arabo che a fine anni Ottanta grazie ai petrodollari si comprò 1.500 camicie, sempre di seta, in un colpo solo. Alla fine il magnate egiziano Al Fayed volle visitare l'azienda bergamasca: «Fu così stupito dall'ordine e dalle tecniche di lavorazione che diventammo una presenza fissa nei suoi leggendari magazzini londinesi Harrods». L'unico luogo dove la società non sfondava era Roma «ed è facile da capire - sorride il patriarca -, dato che nella Città Eterna il nome "Burini" non è propriamente sinonimo di classe ed eleganza....».

Accanto al successo, il rapporto franco e cordiale con i dipendenti: «Abbiamo sempre avuto un rapporto solido: ricordo che inaugurai con le camiciaie della mia prima ditta la consuetudine delle gite aziendali e siccome volevamo respirare quell'atmosfera da jet set dei personaggi a cui fornivamo le camicie, le portai a mangiare da Cipriani a Venezia: noblesse oblige». «D'altronde - rimarca Eugenio - in tanti anni le aziende Burini non hanno mai licenziato o messo qualcuno in cassa integrazione, puntando a fidelizzare il personale». Alcuni fedelissimi hanno seguito i Burini anche nell'ultima avventura, la «Eugenio B» fondata a Curno nel 1996 appunto da Eugenio, mentre una fastidiosa aritmia teneva lontano per un po' Giuseppe. «Ma appena ha potuto mio fratello è tornato in prima linea - precisa Eugenio-: non volle cariche particolari, si limitava ad imbustare le camicie. Nessuno comprendeva che quello era un passaggio cruciale: con la sua esperienza infatti, mio fratello capiva al volo qual'era il prodotto perfetto che si poteva spedire e quali invece le camicie che presentavano difetti, anche lievi, che inesorabilmente lui rimandava alla produzione».

Alla fine, dopo 55 anni sulla breccia, la decisione di vendere la Eugenio B alla francese Zilli nel 2008 (ma Giuseppe resterà ancora consulente fino all'inizio di quest'anno) «con la premessa, ancor prima di parlare di soldi, di preservare lo stesso organico e la stessa filosofia di alta qualità del prodotto».

In fase di consuntivi, il cavalier Giuseppe tiene soprattutto a ringraziare «tutti i collaboratori che hanno condiviso tanti anni di lavoro e soddisfazioni, ma anche le famiglie Masserini e Tassetti che, aiutandomi agli esordi, mi hanno consentito di porre le basi per la mia attività». Ma c'è ancora un futuro per la camicia sartoriale? «Sempre, anche se il mercato si è ulteriormente ristretto e questa crisi di certo non aiuta». E chiude con le tre regole d'oro che hanno fatto la sua fortuna: «Intanto mai accontentarsi nella materia prima, ricercando sempre un tessuto di grande qualità: oltre a quelli che arrivavano dalla svizzera San Gallo, abbiamo avuto la fortuna di trovarci in casa le eccellenze del Cotonificio Albini. Secondo: unire fantasia, creatività al gusto tradizionale. Mai voler essere originali a tutti i costi: la forza di Burini è sempre stata quella di privilegiare la camicia classica, quella da cravatta o da smoking, ma fatta col massimo rigore. Infine non accontentarsi mai, curando i minimi dettagli: è qui che noi italiani possiamo e dobbiamo ancora fare la differenza nel mondo della moda».

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