Andrea Moltrasio: sviluppo, la sfida da Bergamo

La due giorni milanese dedicata a «l’impegno delle imprese italiane contro la cultura del declino» ha avuto come «motore» e incubatore l’iniziativa dell’Unione Industriali di Bergamo che, nel marzo scorso, ha riunito le associazioni dei 15 territori provinciali più industrializzati per mettere a fuoco, molto concretamente, i fattori di successo del modello di sviluppo di queste aree (oltre a Bergamo, Brescia, Varese, Treviso, Como, Lecco, Biella, Novara, Vicenza, Pordenone, Modena, Reggio Emilia, Prato, Belluno e Ancona). Il presidente degli industriali bergamaschi, Andrea Moltrasio, ripercorre le fasi di questo laboratorio e commenta la prima giornata dei lavori milanesi.

Bergamo motore di questo appuntamento?

«Non solo, Bergamo anche come motore di questo processo, che ha portato all’individuazione di quanto di meglio hanno saputo esprimere questi territori negli ultimi 10 anni con l’obiettivo di farne una traccia su cui lavorare. Una ricognizione, la nostra, che è piaciuta molto al direttore di Confindustria Parisi: "Finalmente si parte dai dati empirici per fare un ragionamento", ha detto. E l’interessamento ha portato per Bergamo alla partecipazione, nel luglio scorso, a un incontro riservato in Confindustria con l’adesione, fra gli altri, di economisti e delle principali banche italiane. La nostra iniziativa - che mirava a riportare l’attenzione sull’industria e su territori che condividono importanti specificità ed eccellenze - è stata poi assorbita da questo convegno, dove l’enfasi è sul contrasto al declino e la parte relativa ai sistemi territoriali è solo uno dei sottocapitoli, di cui peraltro non si è parlato oggi (ieri per chi legge, ndr). L’ha fatto solo Carlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio di Milano, sottolineando che la nuova identità economica parte dal basso, dalle province e dai distretti».

Alcune valutazioni sull’intervento di Tremonti.

«Come sempre il ministro è riuscito bene a sintetizzare, parlando dei due eccessi (di tassazione e di regolamentazione) e dei due deficit (di lavoro e di ricerca e innovazione) dell’Europa, anche se la cosa più interessante l’ha detta Giuliano Amato, sottolineando che l’innovazione c’è ma manca la formazione di risorse umane che ne sappiano sfruttare le potenzialità».

Quale di questi difetti vede più minaccioso per l’impresa?

«Della ricerca ho già detto. Sul lavoro, con la legge Biagi, molto è stato fatto, nel senso della flessibilità. Sulle tasse, d’accordo per i tagli, ma attenzione a quali spese si vanno a ridurre. Credo che l’argomento forte sia quello delle regole. In certi settori, come l’ambiente, ci sono i regolamenti Ue, le norme nazionali, poi quelle regionali, provinciali e comunali: una complicazione burocratica amministrativa che mette in ginocchio l’impresa».

Sul recupero di competitività ritiene che il convegno abbia dato risposte esaurienti?

«Direi che l’intervento di Tremonti, molto ad effetto e per slogan, non ha in definitiva precisato poi come fare, nella sostanza, a trasformare ricerca e innovazione in competitività. Più puntuale è stato Tronchetti Provera, individuando nelle telecomunicazioni e nelle biotecnologie due settori strategici di investimento e sottolineando che in Italia non c’è sufficiente focalizzazione su dove debba essere recuperato il gap di nuove tecnologie».

Qual è l’intervento che ha apprezzato di più?

«Quello di Laura Tyson D’Andrea (preside della London Business School ed ex consigliere economico della Casa Bianca, ndr). Ha delinato quello che serve all’Europa per colmare il suo divario con la crescita americana: visione globale, investimenti in information technology, più liberalizzazioni per ottenere più concorrenza, un mercato del lavoro più flessibile, tassi di interesse più bassi, meno burocrazia, nuova finanza, maggiori investimenti e attenzione alla formazione delle risorse umane».

(03/04/2004)

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