Dopo il petrolio, rincarano anche i metalli Confartigianato: ricadute sulle aziende lombarde

Non è soltanto la brusca accelerazione dei costi del petrolio ad impensierire gli imprenditori italiani. Una minaccia altrettanto grave si è palesata a partire dal primo gennaio scorso quando si è registrato un forte quanto generalizzato rincaro dei prezzi di molte materie prime, soprattutto di quelle utilizzate nella produzione e lavorazione metalli.
In soli 100 giorni, vale a dire dal primo gennaio al 10 aprile, gli aumenti - denuncia uno studio della Confartigianato - hanno riguardato molte materie prime: al primo posto lo zinco (+51,3%), seguito dall’ottone (+43%), rame (+27,5%), stagno (+27,5%), nickel (+24,2%), alluminio alloy (+19,1%) e piombo (+3,3%). Gli incrementi, viene sottolineato, riguardano un parterre di quasi 84 mila imprese artigiane, le quali lamentano costi maggiori per 1,32 miliardi di euro. In pratica, i rincari delle materie prime, spiega l’organizzazione artigiana, «equivalgono ad un aumento del costo del lavoro per le aziende del settore pari al 26,7% e in una perdita di competitività del 4,7%».
L’impennata dei prezzi delle materie prime sta producendo gli effetti peggiori sulle 1.839 piccole aziende del settore produzione metalli: i costi aggiuntivi sono di 107,4 milioni di euro, equivalenti a 58.400 euro in più all’anno per azienda, che provocano un aumento del 64% del costo del lavoro e una minore competitività (7,5%).
A livello territoriale, spiega la Confartigianato, i disagi più forti li stanno sopportando le aziende della Lombardia (in particolare quelle di Milano, Brescia e Bergamo), regione nella quale è concentrato il 23,5% delle aziende del settore metalli e prodotti in metallo. A seguire l’Emilia Romagna, il Piemonte e il Veneto. Inoltre, viene segnalato da ultimo, «nonostante le aziende abbiano finora assorbito i rincari delle materie prime, c’è il rischio di una ripercussione inflattiva soprattutto sui settori delle costruzioni e degli autoveicoli».

(21/0472006)

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