Filatura di Albano, sciopero il 21

Delusione diffusa ieri fra gli 88 lavoratori della Franzoni Filati dopo quanto emerso nell’incontro del giorno precedente tra azienda e sindacati sulle prospettive dello stabilimento di Albano S. Alessandro. Prospettive non troppo confortanti dato che l’azienda ha confermato che non ci sono novità rispetto al piano industriale di metà dicembre, che prevede di fermare l’attività ad Albano (la mobilità è scattata il 27 dicembre). Le ultime residue speranze si giocheranno nell’incontro, sempre tra azienda e sindacati, fissato per il 25 gennaio.

L’assemblea dei lavoratori, nonostante lo stato d’animo improntato all’insoddisfazione e allo sconforto, ha comunque assunto alcune decisioni. Venerdì 21 gennaio, per cominciare, vi sarà uno sciopero di 8 ore a livello regionale che vedrà partecipare non solo i lavoratori del gruppo Franzoni ma anche quelli delle altre aziende della Bergamasca e della Lombardia del comparto filati toccate da situazioni di crisi e difficoltà. «Oltre a quello dei filati aderiranno alla giornata di protesta - spiega Aldo Valle, della Filtea-Cgil di Bergamo - anche le fabbriche lombarde di altri comparti del settore tessile». Nello stesso giorno si terrà una manifestazione a Milano davanti al Pirellone allo scopo di sollecitare un intervento della Regione Lombardia. L’assemblea dei lavoratori della Filatura di Albano ha anche dato mandato ai sindacati di chiedere un incontro con l’Amministrazione provinciale, i parlamentari bergamaschi e gli enti locali interessati.

«C’è delusione fra i lavoratori di Albano - continua Aldo Valle - per l’atteggiamento tenuto dall’azienda ma al tempo stesso c’è anche la volontà di andare avanti e di avviare iniziative per cercare, in un modo o nell’altro, di attenuare il piano aziendale. Non si tratta, si capisce, di mantenere la struttura così come è oggi ma quanto meno di conservare una unità produttiva. Se la fabbrica resterà aperta, si potranno utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, dalla cassa integrazione ordinaria a quella straordinaria fino anche alla mobilità mirata con fuoriuscite agevolate».

«Pensiamo di avere dato all’azienda - aggiunge Rosaria Marinelli, della Femca-Cisl - un segnale distensivo, decidendo ad esempio di non tornare ad occupare la fabbrica: la nostra tesi era e resta quella di una distribuzione della crisi su tutto il gruppo».

(13/01/2005)

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