Fondazioni, riforma Tremonti operativa

Ma è pronta una raffica di ricorsi: non piacciono le regole sugli enti locali

Dopo i ripetuti «stop and go» subiti lungo tutto l’iter di formazione diventa operativa la riforma delle Fondazioni bancarie. Un tema caldo, acceso nel dicembre scorso dal blitz del ministro dell’Economia e poi inserito e blindato nella Finanziaria dallo stesso Giulio Tremonti. Una gestazione subito ostacolata dagli enti che, infatti, stanno presentando ricorsi (l’ultima adesione a questa iniziativa, registrata lunedì, è stata quella della Fondazione Cariplo) al Tar del Lazio in attesa di un pronunciamento della Corte Costituzionale sulla natura delle Fondazioni di origine bancaria. Figure giuridiche create dieci anni fa dalle leggi Amato e Ciampi sul riordino del sistema creditizio italiano, quello che veniva definito «la foresta pietrificata».
Nonostante gli effetti più rivoluzionari della riforma Tremonti siano stati nel corso dei mesi «mitigati», le novità introdotte dalle nuove disposizioni sono tante. È infatti scomparso il riferimento alla determinazione percentuale del ruolo prevalente assegnato agli enti locali nella gestione delle Fondazioni, ma questa netta prevalenza resta una pietra angolare per questi «scrigni» a cui fanno capo oltre 70 mila miliardi di vecchie lire.
Sin dall’origine il Tesoro ha assegnato a due distinti regolamenti il compito di attuare le disposizioni inserite nella legge di bilancio per il 2002. Un testo si è occupato di disciplinare in senso lato le Fondazioni, un altro, su cui si sono espresse senza mostrare particolari rilievi sia la Consob sia la Banca d’Italia, le Sgr, le società di gestione del risparmio che dovranno amministrare le quote di controllo degli eEnti nelle banche, con netta separazione rispetto alla normale attività di gestione, così come raccomandato dagli organi di vigilanza del mercato.
Rispetto all’iniziale formulazione, la normativa uscita con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, assegna un ruolo più incisivo alla Banca d’Italia nella determinazione stessa del concetto di controllo sulle banche.
In sostanza le nuove disposizioni, dopo i rilievi mossi dal Consiglio di Stato, non fanno più riferimento alla percentuale dei due terzi dei rappresentanti degli enti locali negli organi di indirizzo. Indicazione che era stata al centro di numerose polemiche e fortemente sostenuta dalla Lega. È scomparso anche, durante l’iter della riforma, il riferimento al vincolo del 75% del reddito residuo da impiegare nei settori rilevanti, così come la previsione di investimenti per almeno il 10% del patrimonio in infrastrutture.
La riforma Tremonti ha mantenuto ferme sin dall’inizio le date definitive per l’uscita delle Fondazioni dalle banche, e prevede gare europee per la scelta delle Sgr: entro giugno 2006, in ogni caso, le Fondazioni dovranno dismettere le loro partecipazioni nelle banche.
Intanto, se da un punto di vista procedurale tutto è ormai stato fatto, gli enti proseguono la loro opposizione decisa alla riforma. Tra gli elementi di maggiore attrito, proprio il «peso» che gli enti territoriali dovranno assumere all’interno degli organi di indirizzo. Dalla presenza paritetica fissata dalla Legge Ciampi, con la riforma Tremonti si era ventilata addirittura l’ipotesi di portare il «peso» di Comuni, Regioni e Province fino ad un 75%. Poi, con la revisione del regolamento, è scomparsa la definizione di una quota precisa per lasciare il posto alla necessità di una «prevalenza» degli enti locali. Da qui la raffica di ricorsi annunciata dalle Fondazioni e l’ipotesi di incostituzionalità a cui ora si appellano.
Chi, ieri, ha parlato ancora di incostituzionalità è stato il presidente della Fondazione Cassamarca di Treviso, Dino De Poli: «La Corte Costituzionale farà giustizia di tutte le superficialità e le improvvisazioni che sono state compiute con questa legge barbara nel tempo, nei modi e nei contenuti». Per De Poli sarebbero «diversi» i punti di contrasto evidenziati dalle Fondazioni, relativi soprattutto alla violazione dei margini di autonomia normalmente riconosciuti agli istituti di diritto privato.
Da L’Eco di Bergamo del 16/10/2002

© RIPRODUZIONE RISERVATA