Il caso della Faac di Grassobbio
«La proprietà è in mano ad un Trust»

«La decisione di chiudere il plant produttivo di Bergamo fu deliberata nel 2011 dallo stesso imprenditore Manini».

In merito a quanto apparso in questi giorni sulla stampa, il Trust Faac intende precisare quanto segue. L’imprenditore Michelangelo Manini ha nominato suo unico erede l’Arcidiocesi di Bologna che, attraverso successivi passaggi legali, è divenuta proprietaria del 100% di Faac Spa. Nel rispetto delle volontà testamentarie, in virtù della distintiva e peculiare missione della Curia e della decisione di non gestire alcuna azienda, l’Arcidiocesi ha costituito il 27 maggio 2015 il Trust Faac, nominando tre trustee divenuti titolari della «nuda proprietà delle azioni», a cui vennero affidate linee di comportamento irrevocabili, tra cui l’indicazione che il Cda e Top management ne determinino strategia e quotidiana gestione dell’azienda.

Pertanto, oggi l’Arcidiocesi non è azionista di Faac, essendosene giuridicamente spossessata attraverso il Trust Faac, né gestore, né implementatore di strategie aziendali, ma solo usufruttuaria e percepiente di eventuali dividendi. In tal senso, la scelta dell’Arcidiocesi, con la creazione del Trust, le cui caratteristiche si ricorda essere irrevocabili, è quella di non svolgere alcun ruolo nella gestione dell’impresa. Si ribadisce che, tra le indicazioni irrevocabili del Trust Faac, l’Arcidiocesi ha conferito la nuda proprietà delle azioni ed il diritto di voto allo stesso.

Sul piano giuridico, pertanto, l’Arcidiocesi non può, né ora né mai, neanche volendo influire in alcun modo sulle scelte di gestione della società non avendo, nella fattispecie specifica, alcun diritto di veto. La gestione della società, in continuità delle scelte dell’allora famiglia Manini, avviene oggi ad opera del medesimo Consiglio di amministrazione e management incaricato a suo tempo dal dott. Manini. In questo quadro, la decisione relativa alla chiusura dello stabilimento di Grassobbio e all’attuale condizione di Cassa integrazione dei 50 dipendenti è pertanto unicamente riconducibile al Consiglio d’amministrazione della società.

Si evidenzia, peraltro, che tale decisione di chiusura e Cigs è stata deliberata diversi mesi or sono, con il pieno accordo sottoscritto in sede sindacale tra il management e tutte le organizzazioni sindacali. Si ricorda, a fine di ricostruzione storica, che la decisione di chiudere il plant produttivo di Bergamo fu deliberata nel 2011 dallo stesso imprenditore Manini. Al momento l’accordo, sulla base di quanto concordato, non prevede il licenziamento di alcun dipendente, bensì la succitata Cigs con integrazione salariale a carico dell’azienda e un contributo economico per ciascun dipendente che dovesse essere da altro imprenditore

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