La Bergamasca «regina» di plastica e gomma

Un business in crescita, che si è sviluppato sulla trasformazione in tubi, nastri, manicotti, lastre ed articoli tecnici, di un polimero di base in polvere denominato Politetrafluoroetilene

Circa il 70% della produzione europea di semilavorati e prodotti finiti in PTFE (plastica e gomma tecnica) proviene dalla Bergamasca. Un business in crescita, che si è sviluppato sulla trasformazione in tubi, nastri, manicotti, lastre ed articoli tecnici, di un polimero di base in polvere denominato Politetrafluoroetilene: il PTFE, che proprio nel distretto che centrale l’area della Valcalepio trova quello che può essere definito a ragione il suo quartier generale.Una materia prima, il PTFE dal costo indicativo compreso fra i 7,7 ed i 12,5 euro al chilogrammo, commercializzato con il marchio di diversi produttori mondiali, tra i quali Dupont, Aci, Dyneon, Daikin, e Ausimont e che sta assumendo una posizione dominante tra le materie plastiche fluorurate.Le aziende di trasformazione sono presenti in Valcalepio, in parte nel Basso Sebino e nei territori limitrofi della provincia bresciana, con i comuni di Castelli Calepio e Grumello del Monte a rappresentare i centri importanti di un comparto esclusivo per il Vecchio Continente. Una filiera di piccole e medie industrie sorte dall’intraprendenza di giovani locali, maturati come tecnici alla Lanza di Predore: quando quest’ultima, mezzo secolo fa, era la prima azienda bergamasca e nazionale a produrre PTFE e che, nel ’75, vantava quasi 350 dipendenti.Sul finire degli anni ’70, però, Lanza fu coinvolta in una crisi finanziaria: momento di difficoltà che culminò, nel corso del 1982 con il ricorso al concordato preventivo, cui seguì la trasformazione in Lanza Nuova con l’acquisizione delle attività da parte della famiglia Bortolotti di Sarnico.La vicenda si concluse pochi anni dopo, con la cessione dell’attività al Gruppo Gapi di Castelli Calepio, presieduto da Piero Galizzi, il quale trasferì gli impianti nella sede attuale Lanza Nuova in Gandosso. Quindi gli anni ’90, segnati da un deciso trend di sviluppo per il distretto, sia commerciale, sia di crescita industriale.Due i processi importanti di trasformazione del PTFE: il primo con lavorazione che si chiama «per dispersione», tipico di una nicchia riferita al «padellame» e presente nelle Marche; il secondo, il più rappresentativo del distretto bergamasco, riguarda la lavorazione del PTFE attraverso lo stampaggio e l’estrusione granulare, e l’estrusione in pasta che costituisce circa l’80% della produzione orobica.Diversificate le vendite che si contraddistinguono per una forte incidenza dell’export. Oltre frontiera, infatti, finisce quasi il 60% dell’intera produzione realizzata: questo prodotto nell’80% circa delle sue quantità trova sbocco sui mercati dell’Europa con Germania e Francia a rappresentare la clientela strategica.Dal punto di vista tecnico-merceologico, il PTFE è un polimero che beneficia di elevate caratteristiche meccaniche, quali la totale inerzia chimica, l’elevata resistenza termica (260 gradi in applicazione continua), autolubrificazione, alta rigidità dielettrica. Queste caratteristiche permettono di realizzare prodotti altamente performanti, ottenuti nel corso di un processo di trasformazione costantemente soggetto a controlli qualitativi. Tre le categorie principali a cui questi prodotti possono essere ricondotti: i semilavorati (i più presenti nel distretto orobico) ovvero prodotti ottenuti mediante estrusione e stampaggio, quali tondi, tubi e lastre; i pezzi «finiti», come guarnizioni, sedi valvole e anelli di tenuta, ottenuti tramite tornitura; infine i prodotti ottenuti da sfogliatura di blocchi: nastri e films.Diversificati e in continuo sviluppo - segno inequivocabile della forte versatilità dei prodotti realizzati - i settori di sbocco: si va dall’aerospaziale alla meccanica, dal chimico all’ambito medicale, dalla termoidraulica all’elettronica, passando per la rubinetteria e il settore automobilistico.

(Su l’Eco di Bergamo del 12 febbraio 2003)

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