«Marchio» bergamasco per la nuova Fiat 500 Abarth

Ci sarà una firma bergamasca sul nuovo logo della Fiat 500 Abarth che verrà presentata entro la fine dell’anno. È quello della Lupini Targhe di Pognano, azienda che fattura 36 milioni di euro l’anno e che, dopo una massiccia e dolorosa riorganizzazione, ha circa 200 dipendenti. Oltre al marchio della Abarth, l’azienda bergamasca produrrà anche i componenti d’interno della 500 base.

«Sarà un logo innovativo, di colore rosso sul modello di quello degli anni Settanta, frutto di una tecnologia d’avanguardia e leggermente in rilievo», spiega Vincenzo Bruno, direttore operativo dell’azienda, che ha partecipato alla missione in India con la delegazione di imprenditori organizzata dalla Regione Lombardia e guidata dal presidente del Pirellone, Roberto Formigoni.

Un modo per rilanciare l’azienda, per l’appunto, dopo la crisi degli ultimi tempi che non sembra comunque aver messo in discussione il titolo di leader mondiale – per dirla in termini tecnici – della produzione di emblemi in alluminio per interno ed esterno. Si va dai loghi, fino ai copricerchi, dalle targhe ai battitacco per finire con gli stemmi che si trovano sull’air bag dei cruscotti. «Merito del Centro di ricerca e sviluppo che abbiamo creato in sede – aggiunge Bruno –e che ci permette di offrire un prodotto sempre innovativo e apprezzato dai clienti».
In portafoglio ci sono i marchi più prestigiosi: dalla Fiat alla Bmw, passando per General Motors, Ford e Volkswagen.

Dal marzo del 2006 è diventato operativo anche l’unità produttiva realizzata in Messico e che ha già fatturato 2,5 milioni di dollari. Si occupa in particolare di plastica cromata che è un accessorio particolarmente richiesto sul mercato americano.
«In India siamo venuti soltanto in esplorazione – spiega ancora il direttore operativo dell’azienda di Pognano, Vincenzo Bruno – perché crediamo che sia importante una base in questa parte del mondo. Ma è un discorso aperto, che non si concretizzerà, eventualmente, prima del 2008».

Escluso, comunque, il ricorso al mercato cinese. «Molti lo fanno, ma noi siamo molto perplessi – sostiene sempre Bruno – perché è un ambiente molto più ostico. E si corre il rischio, per dirla chiaramente, che nel giro di sei mesi spunti a un chilometro dal nostro stabilimento, una unità produttiva cinese in grado di replicare pari i nostri prodotti, sfruttando le conoscenze acquisite con la nostra esperienza».

Le mille difficoltà legate a un mercato globale con interessi rilevanti in gioco: «Da questo punto di vista – conclude il manager della Lupini Targhe – l’India è un mercato assai diverso e ci sembra più adeguato al nostro target». Ma il futuro, per ora, si chiama Fiat 500.

(21/01/2007)

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