Riforma fallimentare a rischio fallimento

Entra in vigore il 16 luglio, tra le perplessità degli operatori, la revisione della legge del 1942 Il giudice Gaballo: le nuove norme presentano difetti di coordinamento con le disposizioni precedenti

Il 16 luglio entreranno in vigore le nuove norme del diritto fallimentare, una riforma attesa da decenni (la legge attualmente in vigore è datata 1942). Eppure la prossima introduzione è accompagnata da un clima di grande perplessità. Per capire come cambierà il diritto fallimentare a partire dalla prossima settimana ci siamo rivolti al giudice delegato alle Procedure concorsuali del Tribunale di Bergamo Massimo Gaballo.

Ricordando che una prima parte della riforma, quella riguardante la disciplina delle azioni revocatorie fallimentari e del concordato preventivo, è entrata in vigore da un anno, il giudice Gaballo sottolinea: «Le nuove norme, introdotte frettolosamente con lo strumento improprio del decreto legge del marzo 2005, presentano numerosi e grossolani difetti di coordinamento con le altre norme della legge fallimentare non modificate neppure dalla successiva riforma organica del decreto legislativo numero 5 del 2006».

Quali sono le principali novità già in vigore?
«Per quanto riguarda le azioni revocatorie fallimentari, attraverso le quali si ripristina la par condicio creditorum, sono stati dimezzati i cosiddetti “periodi sospetti”, (da due anni ad uno per gli atti a titolo gratuito e da un anno a sei mesi per quelli a titolo oneroso) e l’ampliamento delle esenzioni. La riforma del concordato preventivo, invece, ha fatto venire meno i requisiti di meritevolezza del passato (dall’avere la contabilità in ordine al non essere mai stato condannato per bancarotta), così come la percentuale minima (40 %) di pagamento dei creditori chirografari. Inoltre, la presentazione della domanda ora deve essere accompagnata da una relazione di un professionista esterno che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del concordato».

Si può tracciare un bilancio della prima tranche di riforma?
«È troppo presto per esprimere giudizi in relazione alle azioni revocatorie, anche se appare evidente che le modifiche introdotte ne ridurranno drasticamente la praticabilità. La riforma del concordato, invece, ha facilitato notevolmente l’accesso alla procedura. Rispetto alla disciplina previgente il concordato non ha più esclusivamente finalità liquidatorie, ma in qualche caso anche recuperatorie dell’impresa in difficoltà».

Nel primo semestre i fallimenti dichiarati dal Tribunale di Bergamo si sono notevolemente ridotti rispetto al 2005. È un effetto della nuova normativa?
«Dopo l’impennata dello scorso anno, quest’anno siamo tornati a registrare valori non lontani da quelli del 2004. Il calo corrisponde in primo luogo a una diminuzione delle istanze di fallimento e probabilmente sconta un graduale adeguamento alla nuova normativa. L’intento deflativo delle nuove disposizioni prevede delle soglie di fallibilità in passato mai applicate dal nostro Tribunale, a differenza di altri dove, se non veniva raggiunto un determinato importo di debiti, non veniva dichiarato il fallimento».

Questo significa regole uguali in tutta Italia?
«La vecchia normativa fallimentare lasciava larghe zone non regolamentate. Alla riforma va riconosciuto il merito di colmare le lacune recependo e trasformando in legge orientamenti della giurisprudenza di legittimità e della prassi».

Il 16 luglio la riforma entrerà in vigore nella completezza. Quali le criticità?
«Questa riforma privatizza tutta la procedura fallimentare: aumenta i poteri e le responsabilità del curatore e del comitato dei creditori, facendo venir meno i corrispondenti poteri del giudice delegato. La più grande incognita è rappresentata proprio dal funzionamento del comitato dei creditori che in alcuni momenti potrebbe paralizzare la procedura».

Quali i punti di forza?
«Le nuove norme hanno il merito di sveltire la procedura, oltre che con alcune previsioni di dettaglio, soprattutto riducendo i tempi delle controversie in materia fallimentare con la sostituzione del rito ordinario con quello camerale. Si tratta però di un rito che per la sua sommarietà potrebbe non essere adatto ad alcune controversie particolarmente complesse».

(13/07/2006)

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