Tessile col fiatone, decisivo l’inizio del 2003

Il segretario provinciale della Femca-Cisl, RIta Brembilla, fa il punto dopo la crisi dell’11 settembre. Da gennaio la cassa integrazione ordinaria ha interessato 11 imprese e 913 lavoratori. In un anno chiuse quattro aziende

Gli occhi sono rivolti al 2003. Per ora, il tessile bergamasco non brilla ma non dà nemmeno segni di tracollo. La cassa integrazione è di tipo ordinario, quella cioè che si applica nel caso di crisi congiunturali. Per il momento non si vedono scivolamenti verso la crisi strutturale, che comporterebbe il ricorso alla cassa integrazione straordinaria. Ma se con l’inizio del prossimo anno non arriva la ripresa, potrebbero cominciare i guai.
Rita Brembilla, segretario provinciale della Femca-Cisl, fotografa così la situazione del comparto in provincia. «Tessile e abbigliamento - dice - non forniscono beni di primissima necessità e di conseguenza risentono subito delle difficoltà quando l’andamento generale dell’economia non è buono».
La prima battuta d’arresto era arrivata all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001. Il tessile veniva da un 2000 e da un primo semestre positivi. Nella seconda metà dell’anno scorso sono cominciate le difficoltà. Un nome per tutti: Filber, l’azienda di Bonate Sopra specializzata in filati ignifughi utilizzati in particolare nel settore aereo e in quello del turismo e costretta da gennaio a fermare l’attività per il crollo dei suoi mercati di riferimento.
A un anno di distanza dal terremoto 11 settembre, il tessile non si è ancora ripreso. Rita Brembilla parla di «mercato che fatica a riprendersi: è una fase di stanca, ma non è ancora una crisi strutturale». Bergamo riesce ancora a cavarsela grazie alla prevalenza di produzioni in cotone. «Questo genere di fibre naturali - spiega Brembilla - hanno ancora mercato rispetto alla lana e alle fibre sintetiche, che si trovano più in difficoltà».
Motivi di preoccupazione, però, ci sono. Dall’inizio dell’anno la cassa integrazione ordinaria ha interessato undici aziende per un totale di 90 settimane e 913 lavoratori a orario ridotto. Alcune situazioni sono ancora aperte: Reggiani Tessile di Bergamo (218 dipendenti in tutto, 7 settimane di cassa integrazione, 96 lavoratori interessati), Radici Tessuti di Lallio e di Gandino (228 dipendenti, 16 settimane, 84 lavoratori interessati), Tappetificio Pietro Radici di Cazzano S. Andrea (354 dipendenti, 15 settimane, 70 lavoratori interessati), Cotonificio di Bottanuco (346 dipendenti, 16 settimane, 156 interessati). A questi si aggiunge il Linificio Nazionale di Fara Gera d’Adda con la cassa integrazione straordinaria. «L’azienda - sottolinea Brembilla - sta rispettando comunque gli accordi per il reimpiego di tutti i lavoratori, in parte a Villa d’Almè, in parte ancora a Fara e in parte con altre soluzioni. Alla fine, nessuno verrà licenziato. Ad oggi la cassa coinvolge poche persone. Anche se negli ultimi tempi a conti fatti i posti persi al Linificio sono ottanta». Quanto alla Filber, sono 19 i lavoratori ancora in cassa integrazione, ad esaurimento sino a fine anno, quando l’attività dell’azienda si fermerà definitivamente.
Fra quest’anno e la prima metà del 2003 chiudono i battenti anche altre tre aziende. La Filo di Ciserano e la Gun-Toys di Calvenzano hanno cessato l’attività quest’anno. I lavoratori coinvolti sono in tutto venticinque. Diverse le ragioni della chiusura: per la Filo la scelta dell’azienda di spostare la produzione al Sud, per la Gun-Toys difficoltà di mercato. Questa stessa ragione porterà la Tessfilca di Endine Gaiano a cessare l’attività a metà 2003. In questo caso i lavoratori coinvolti sono sedici, entrati nelle liste di mobilità.
«Le preoccupazioni maggiori - dice Brembilla - riguardano la Radici Tessuti e la Reggiani per il protrarsi della cassa integrazione. I tessuti sintetici sono in difficoltà per la concorrenza dei prodotti finiti che ora si importano dall’estero».
Per il futuro, la segretaria della Femca-Cisl vede spazio soprattutto per le produzioni di qualità ad alto valore aggiunto. «Reggerà chi è capace di evolvere il prodotto - dice Brembilla -. Non basta che gli imprenditori siano in allarme per la perdita di 300 mila posti nel comparto. Questo è un settore che è sempre stato capace di evolversi. Occorre una politica industriale più forte nel territorio, tesa a valorizzare le produzioni locali e non solo la commercializzazione del prodotto, di un settore caratterizzato da forti esportazioni di prodotti nel mondo. La formazione diventerà l’asse portante sul quale investire molto di più in futuro, per questo diventa significativo il protocollo che abbiamo sottoscritto con la Presidenza tessile di Bergamo per favorire un percorso che incroci domanda e offerta e uno sviluppo della formazione dei dipendenti teso a migliorare la qualità totale nelle aziende».
Il tessile ha ancora ad oggi un peso occupazionale significativo in provincia. «Per non perdere la forza di questo comparto - dice la sindacalista Femca - l’arma vincente è mantenere in Italia tutta la filiera tessile dalla filatura alla confezione».
Un discorso a parte merita la «button valley», il distretto dove si producono bottoni caratteristico del tessile bergamasco. «Le singole aziende - dice Brembilla - fanno fatica ad affrontare le difficoltà di mercato da sole. Occorre fare distretto, uscire dalla logica piccolo è bello: in una fase caratterizzata dalla globalizzazione, è più facile vincere la competitività insieme». E anche in questo caso la parola d’ordine è sempre la stessa: qualità e creatività del prodotto.

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