A Sorisole i ragazzi
venuti dal nulla

Le sigle hanno un potere straniante. «Msna», per esempio, significa «Minori stranieri non accompagnati». Quella degli Msna è una delle più gravi emergenze umanitarie che l’ Europa sia stata chiamata ad affrontare negli ultimi anni. È strettamente legata alle crisi economiche e alle guerre che attanagliano il mondo, dal Bangladesh alla Siria, dalla Nigeria all’ Etiopia.

Questo esodo immane, che gravita quasi esclusivamente su Asia e Africa con spostamenti forzati di milioni di esseri umani, preme (in misura minore, ma non per questo poco significativa) anche sul nostro continente, poco avvezzo, per fortuna nostra, da 60 anni a questa parte, a guerre o catastrofi naturali di dimensioni epocali, come è una carestia in terra africana. Tra gli sfollati si trovano anche loro, gli Msna.

Li chiamano così i burocrati, ma con una formula un po’ fuori dal tempo (il nostro tempo, non il loro) li chiameremo orfani. Sono ragazzini di 15 o 16 anni, quasi tutti maschi, che molto spesso hanno subìto, in patria e durante il viaggio, violenze di ogni tipo, oppure hanno assistito a scene che segneranno per sempre la loro vita. Se hanno ancora un padre, raramente sanno dove si trova, se hanno una madre, sognano di tornare a trovarla per un bacio o una carezza, se hanno un amico, o un fratello, spesso è solo nel ricordo di un lutto o di una separazione involontaria e irreversibile.

Si assomigliano tutte, le storie degli orfani che approdano sulle nostre coste. Parlano di un’ infanzia negata e di una vita ridotta a sopravvivenza. E pongono, a gran voce, una domanda: chi si prenderà cura di me? Purtroppo questa domanda rimane troppo spesso senza una risposta. Si calcola che siano almeno diecimila gli orfani stranieri spariti nel nulla in Europa dopo essere stati registrati nei centri di accoglienza.

Anche a Bergamo succede: più o meno un terzo dei minorenni accolti in struttura, dopo qualche tempo, fa perdere le proprie tracce. Alcuni hanno una meta, più o meno precisa: un conoscente, un lontano parente in un altro Paese europeo, ma altri finiscono per strada, preda della criminalità o dei lavori in nero sottopagati (una recente inchiesta ha svelato l’ utilizzo di questi minori negli autolavaggi di Roma, per esempio). La recente legge approvata dalla Camera prova coraggiosamente, e questa volta l’ Italia può andare fiera del suo primato in Europa, a mettere un freno a questo fenomeno.

Ma torniamo alla domanda dell’ orfano: chi si prenderà cura di me? È una domanda alla quale possiamo dare una risposta? In un certo senso sì. Una risposta da padre. Una risposta etica, quindi, prima che sociale e politica. Primo Levi, ne «I sommersi e i salvati», racconta che mentre era nel campo di concentramento di Auschwitz aveva un incubo ricorrente: provava a raccontare la sua terribile esperienza da internato a delle persone che però non lo ascoltavano.

Nessuno come Levi ha mostrato come il racconto sia vitale per l’ essere umano. Prendersi cura dell’ orfano vuol dire essere pronti ad ascoltarlo. E non sempre le cose che dice sono facili da accettare. Paura, insicurezza, fastidio sono i sentimenti più immediati e diffusi di fronte al carico di emergenza sociale che porta chi fugge da una disgrazia. Se è questo il mondo che vedono gli orfani sbarcati in Italia, perché stupirsi se svaniscono nel nulla?

Nella comunità di Sorisole di don Fausto Resmini i ragazzi non vengono tenuti sotto una campana di vetro. Vanno a scuola, giocano a calcio, frequentano i loro coetanei. Per chi arriva dalla miseria più nera, le sirene del nostro consumismo sono dietro ogni angolo: lo smartphone di ultima generazione, le scarpe all’ ultima moda, il cappellino firmato... Ma don Fausto sa quale è la risposta del padre.

Come direbbe Massimo Recalcati, non quella di colui che indica quale è il senso dell’ esistenza, ma colui il quale, vivendo, mostra che l’ esistenza può avere un senso. Un padre che non si vergogna della sua povertà. Così, una volta alla settimana, i ragazzi venuti dal nulla vengono accompagnati a fare servizio ai senzatetto. Loro, che non avevano niente e hanno perso tutto, toccano con mano che anche nella terra dell’ abbondanza ci sono le pietre scartate dai costruttori, e proprio su quelle si può ricominciare a parlare di vita, di amore, di speranza. Un meraviglioso cortocircuito pedagogico.

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