Abolire la Fornero
Il monito di Draghi

La riforma – o addirittura la cancellazione – della legge Fornero sulle pensioni è uno dei cavalli di battaglia di questo governo giallo-verde. Ma il primo disco rosso a quest’impresa arriva dalla Banca centrale europea. I soliti poteri forti nascosti nel cuore dell’Europa, si dirà. Del resto il grattacielo dell’Eurotower è di fronte alla sede della Deutsche Bank, a Francoforte, e i tedeschi non ci amano, soprattutto quando non rispettiamo i parametri di Maastricht, poiché considerano l’euro alla stregua del marco, vale a dire ancora moneta loro. In realtà il monito del governatore Mario Draghi, contenuto nel bollettino economico, è molto chiaro e ha poco a che vedere con i messaggi teutonici o pluto-giudaici-massonici: «In alcuni Paesi (ad esempio in Italia e in Spagna) il rischio che si compiano passi indietro rispetto alle riforme pensionistiche precedentemente adottate sembra elevato.

Al contrario, in diversi Paesi con livelli già elevati di debito pubblico (come l’Italia) sono necessari ulteriori sforzi di riforma volti a ridurre il previsto aumento della spesa connessa all’invecchiamento demografico. In tale contesto sarà importante che i Paesi intraprendano azioni politiche risolute e incrementino gli sforzi di riforme strutturali in ambiti quali pensioni, sanità e assistenza di lungo periodo».

Tradotto dal gergo bancario, Draghi non solo consiglia di non toccare la legge Fornero, ma addirittura di riformarla in senso contrario a quanto dice Salvini, ovvero di aumentare l’età pensionabile, o quanto meno di dirottare altre risorse, poiché a causa dell’invecchiamento della popolazione italiana (la più longeva del mondo dopo il Giappone) serviranno maggiori risorse per pagare le rendite a tutti i pensionati di oggi e di domani.

La legge sulle pensioni, introdotta nel 2011 dopo la tempesta finanziaria che minacciava di fare andare in fallimento il debito pubblico italiano, e che portò al governo straordinario dell’allora tecnico Mario Monti sotto l’egida del presidente Napolitano, si può certamente riformare. La stessa Elsa Fornero, tornata all’insegnamento all’Università di Torino, ha detto di recente che la sua legge è stata fatta in 20 giorni (e si vede, ve li ricordate gli esodati?) ed è migliorabile. Ma servono le adeguate coperture finanziarie, poiché prevede che le pensioni siano calcolate con metodo contributivo (anche per chi ancora godeva del metodo retributivo secondo la riforma Dini del 1995) e siano connesse alla prospettiva di vita con un ricalcolo ogni due anni (tre fino al 2017). Di fatto la riforma ha adottato l’entrata in vigore di alcuni criteri già preesistenti, tra i quali l’innalzamento dell’età pensionistica (anche per le donne). Ma quanto costerebbe oggi abolirla?

In sostanza, l’impatto della riforma Fornero, nei prossimi 42 anni, si aggirerebbe intorno ai 280 miliardi di euro, la maggior parte dei quali nei prossimi 10 anni. Abolirla comporterebbe dunque un costo, limitatamente alla prossima legislatura (2018-2023), intorno ai 100 miliardi di euro.

Se vogliamo rasarla a zero con la ruspa di Salvini dobbiamo trovare coperture per almeno venti miliardi di euro l’anno. In pratica l’ammontare di una manovra economica solo per sostenere quest’operazione e mantenere le promesse elettorali della Lega (i Cinque Stelle sono molto più cauti sulla riforma Fornero).

Dunque dove prendere venti miliardi aggiuntivi? Aumentando il deficit e ingrossando lo stock del debito pubblico, che nel 2020, secondo le stime del ministero dell’Economia, sarà di 1877 miliardi di euro, uno dei più ipertrofici del mondo? Quando un debito cresce, diventa meno sostenibile, ovvero diventa più difficile restituirlo. L’Unione europea non ce lo permetterebbe mai. O forse vogliamo uscire dal sistema monetario europeo e alla fine della fiera dall’Unione?

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