Accoglienza tedesca
doveri compresi

Diritti certo ma anche doveri. In tedesco si esprime «incentivare e richiedere». È questo il messaggio che Angela Merkel ha voluto comunicare alla nazione. Il Consiglio dei ministri ieri notte ha dotato la Germania per la prima volta nella millenaria storia tedesca di una legge per l’integrazione dei rifugiati stranieri. Ma ciò che al governo tedesco sta veramente a cuore è rassicurare l’opinione pubblica.

Dopo le violenze nella notte di Capodanno di Colonia e l’arrivo incontrollato di più di un milione di migranti la popolarità della signora Merkel è calata in modo drastico e nel recente sondaggio demoscopico alla domanda se i cittadini volessero un altro mandato del cancelliere in carica più della metà ha detto no e l’altra metà si è mantenuta in dubbio. In pratica per il capo del governo che raggiungeva nel passato quote di gradimento al 70% il significato era chiaro: la morte politica annunciata. Così ha avuto via libera la linea dura rappresentata dal partito di governo della Csu e dal ministro degli Interni De Maiziére. La Spd ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco perché è proprio il partito socialista a perdere la maggior parte dei consensi tra i ceti socialmente più bassi.

In breve ai rifugiati sia richiedenti asilo che a quelli che formalmente non avrebbero diritto allo status e che in Germania sono chiamati «i tollerati» è dato uno spazio temporale di tre anni per imparare la lingua e dimostrare di volerlo fare. Ad ognuno di loro verrà assegnato un domicilio in modo da non creare ghetti e quindi distribuiti in modo uniforme nelle comunità. Il rifugiato si impegna a non lasciare l’abitazione e a provvedere affinché sia tenuta in ordine. Dovesse violare queste disposizioni e rinunciare al programma di integrazione previsto, quindi anche ai corsi di lingua intensiva, subirebbe delle penalizzazioni sino all’espulsione.

Per facilitare l’accesso al mondo del lavoro vengono messi a disposizione centomila posti di lavoro. Si tratta di occupazioni che vanno sotto il nome di «1 euro job» cioè l’impegno per l’emigrato di svolgere un’attività di carattere sociale che viene retribuita tra uno e 2,5 euro all’ora. Un compenso che si intende simbolico e che va ad aggiungersi a quella che è la vera retribuzione e cioè la casa, l’accesso alle prestazioni sanitarie e sociali, di fatto il mantenimento a spese dello Stato in attesa del completo inserimento nelle strutture lavorative. Le obiezioni che si levano è che si toglie lavoro a chi è abilitato a farlo, per esempio, se si curano i giardini comunali, è il giardiniere che ha meno lavoro, se si restaurano case è l’imbianchino e via di seguito. Per questo la legge prevede che il posto in questione possa essere assegnato solo se un cittadino tedesco o comunitario non la abbia prima richiesto per sé. Già nel 2006 si era applicata la stessa legge ai cittadini tedeschi disoccupati nell’ordine di più di ottocentomila soggetti adesso siamo intorno ai duecentomila soprattutto nella Germania Orientale. Quindi niente di nuovo. Di rivoluzionario è invece il principio e cioè che anche ai richiedenti asilo siano richiesti doveri, che il politicamente corretto sia stato sostituito dalla necessità di fare dei profughi dei cittadini ai quali competono i diritti solo se vengono assolti dei doveri. La molla di tutto questo è la crescita esponenziale di AfD del partito xenofobo dell’Alternativa per la Germania.

Nelle ultime elezioni è arrivata nel Land Sassonia Anhalt ad oltre il 23% e la sua presidente Frauke Petry già guarda alle prossime elezioni del settembre 2017 per andare al Bundestag a spese della Grande Coalizione. Come dire la fine all’egemonia dei partiti popolari della Cdu e della Spd.

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