Al Brennero in gioco
i valori dell’Europa

Avremo un’Europa circondata da muri? Anzi, avremo un’Europa spaccata da muri come quello che l’Austria ha minacciato di erigere (ma non lo farà) filtrando i passaggi dal Brennero? Da un anno a questa parte è la risposta più frequente che sentiamo in bocca alla politica rispetto all’emergenza migranti. Il voto presidenziale austriaco, dove il candidato della destra populista Norbert Hofer ha strappato un 36,4 % dei consensi, sembra aver fatto ulteriormente precipitare la situazione. Le forze della grande coalizione al governo

Le forze della grande coalizione al governo sono nel panico e per cercare di arginare l’escalation delle forze xenofobe, non sanno far altro che inseguirle, sposando le loro strategie. Il ballottaggio per le presidenziali è lontano, perché è fissato per il 22 maggio e quindi c’è da aspettarsi un mese ad altissima tensione: Hofer verrà sfidato dall’ex leader dei Verdi Alexander Van der Bellen, che parte dal 20,4 % di voti.

Anche se il ministro Wolfgang Sobotka in una conferenza stampa a Roma ha precisato che «l’Austria non fa nulla contro il diritto europeo, rispetta la convenzione di Ginevra e ha appena varato una legge sull’asilo», il caso Brennero è emblematico di una politica che abdica alle sue funzioni e alle sue responsabilità. Una politica che di fronte ad ogni emergenza si trova in balia delle spinte più irrazionaliste. Al Brennero non siamo di fronte solo ad uno dei transiti più nevralgici d’Europa, ma anche ad un simbolo importante della storia europea. Era il 1998 quando Giorgio Napolitano, allora ministro degli Interni, con il suo omologo austriaco aveva rimosso la barriere tra Italia e Austria. Non era solo l’applicazione degli accordi di Schengen era anche il superamento simbolico di un lungo capitolo drammatico della storia europea. Per di più il Brennero è il confine meno confine che ci sia, come ha ricordato il grande Reinhold Messner: perché a nord e a sud, c’è la stessa regione, il Tirolo. Qui un muro sarebbe assurdo.

I numeri dicono che attraverso questo confine nei primi 100 giorni del 2016 sarebbero passati circa 5mila rifugiati, cifra che per altro non risulta alle autorità italiane. Un numero che, se anche fosse vero, non dovrebbe mandare nel panico chi governa un paese come l’Austria di 8,5 milioni di abitanti. In generale il muro, come soluzione, ha in sé qualcosa di profondamente incivile. È il simbolo di Paesi o forse di un continente che fa un passo indietro nella storia: dal punto di vista dei suoi valori, ma anche dal punto di vista economico. Il muro, qualsiasi muro, ci fa tutti più poveri, nel senso che rinunciamo alla ricchezza ideale che abbiamo ereditato dalla nostra storia. E nel senso che ogni sbarramento è una penalizzazione all’economia.

Ma soprattutto il muro è una fuga dalle responsabilità. È un chiudere irresponsabilmente gli occhi di fronte a emergenze che non ci arrivano addosso per caso. Sono tante le ragioni che hanno causato il grande flusso migratorio di questi ultimi anni. Alcune di queste ragioni vedono implicazioni dirette dei Paesi europei (per esempio, come ha ricordato il Papa a Lesbo: quante armi prodotte nel vecchio continente sono state vendute in Paesi oggi squassati da conflitti civili; non ci sono evidentemente muri per le armi…). Altre ragioni sono indirette, e rimandano alla realtà di un mondo sempre più globalizzato, ma sempre più segnato da squilibri. Dove la forbice tra popoli ricchi e popoli poveri si fa sempre più ampia. Per quanto tempo ancora la politica potrà permettersi di latitare? Alzare muri è solo un tristissimo diversivo. Un esercizio di ipocrisia per rimandare i conti con la storia. E anche con la propria dignità.

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