Alitalia, volano
anche i prestiti

Volete un esempio di uno dei tanti prezzi che l’Italia sta pagando alla sua fase ingovernabilità dovuta alla difficoltà di trovare una maggioranza politica dopo le elezioni del 4 marzo? Prendete l’eterno caso Alitalia. L’ex compagnia di bandiera italiana come è noto è sotto un triumvirato di tre arcigni commissari (Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari) che hanno avuto il compito di tirare fuori il vettore nazionale dalle cattive acque e preparare un piano di cessione. Di fronte all’offerta Alitalia si sono fatti avanti tre compratori: la low cost EasyJet, capofila di una cordata che comprende AirFrance-Klm, il fondo Cerberus e Delta; il vettore ungherese Wizz Air e la tedesca Lufthansa, forse la più interessata (ha già presentato un documento su come potrebbe essere nelle intenzioni del gruppo, il cosiddetto «concept paper»).

Per puntellare la compagnia fino alla cessione definitiva il governo in uscita di Gentiloni ha erogato un prestito ponte di 900 milioni di euro che ieri, in vista della scadenza del 30 aprile, ha prorogato fino al 15 dicembre.

Nel frattempo la Commissione europea ha avviato un’indagine sulla legittimità di questo prestito, visto che l’Unione vieta aiuti di Stato. Inoltre siamo ben oltre la durata massima di sei mesi previsti per i prestiti di salvataggio. Infine il governo ha prorogato i tempi di vendita di Alitalia fino a ottobre.

L’Unione si metterà di mezzo rispetto ai piani del governo? Naturalmente da Bruxelles gettano acqua sul fuoco, asserendo di essere in contatto con Roma. Tra l’altro c’è sul tavolo l’ipotesi di trasformare il prestito ponte in prestito per la ristrutturazione dell’azienda e su questo la Commissione ancora si deve pronunciare.

È stato lo stesso ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda a ricordare che il decreto di proroga è dovuto al fatto che occorre aspettare un governo legittimato a prendere decisioni importanti. Si tratta dunque anche di una decisione «politica» non certo solamente di normale amministrazione,come quella di Gentiloni e Calenda, chiamati al disbrigo degli affari correnti.

Vi è infatti un problema di innovazione oltre che di necessaria e inevitabile ristrutturazione. Le perdite sono ancora ingenti. Serve l’accordo con i sindacati in fase di prepensionamenti, trasferimenti, ricollocazione e cassa integrazione (tra l’altro l’Unione sindacale di base ha deciso di non sottoscrivere al ministero del Lavoro l’accordo di proroga della Cigs). Ma per rilanciare una compagnia, pur gravata dai costi, tagliare semplicemente non è sufficiente. Non basta la scure (o le forbici). Occorrono nuovi aerei e nuove rotte da ricalibrare. Tra l’altro la compagnia non è ferma e ha annunciato per l’estate nuovi voli per Johannesburg, Valencia, Madrid, Lussemburgo, Atene, Stoccolma, San Pietroburgo e Mosca.

Quanto ai compratori, l’offerta più probabile delle tre è quella di Lufthansa. Ma il suo portavoce ieri ha ribadito che l’Alitalia così com’è ai tedeschi non interessa. Dopo aver ricordato che il mercato italiano è di grande interesse dopo quello degli Stati Uniti Lufthansa ha ribadito di volere un piano industriale che prevede tagli di personale e di costi. Ma la priorità di qualsiasi governo – e dunque anche di quello italiano - è quella di salvaguardare l’occupazione del personale e i redditi delle famiglie. E dunque non resta che aspettare il prossimo governo venturo. Nel frattempo Alitalia continuerà a perdere mezzo milione di euro al giorno.

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