Amleto Marino
Che scacco al suo Pd

Di fronte a quanto sta accadendo in Campidoglio e dintorni in queste ore, c’è legittimamente da chiedersi se Roma e l’Italia si meritino il balletto cui siamo costretti ad assistere. Il sindaco dimissionario Ignazio Marino, sfiduciato politicamente dal suo partito, alla vigilia dell’ultimo giorno utile per rimettere definitivamente il suo mandato sta conducendo con i suoi avversari un gioco al tira e molla nel tentativo di uscire da questo pasticcio ancora con un futuro politico, e per questa ragione cerca di creare difficoltà ad un Pd che vuole liberarsi di questo suo scomodissimo militante ma non sa più né come né quando.

Ma Marino, avendo di fatto perso tutto, sta conducendo una battaglia disperata mentre il Pd deve salvare il salvabile, evitando un avvitamento della situazione che potrebbe assestare un durissimo colpo non solo al partito romano ma anche a quello nazionale e al suo leader Matteo Renzi. L’idea dei renziani, una volta cancellato Marino, era quella di affidare il comune ad un prefetto e ad una squadra di tecnici e di andare a votare il più tardi possibile – con un escamotage anche dopo le amministrative della prossima primavera – contando nella corta memoria dell’elettorato romano. Ma questa idea è miseramente naufragata perché il sindaco chirurgo si è rivelato capace di vendere la pelle a carissimo prezzo: il chirurgo-marziano gioca la carta della moralità pubblica accusando chiunque lo voglia detronizzare di essere «complice della mafia».

Tutti argomenti che sorvolano non solo sul fallimento obiettivo di un sindaco che in due anni non è stato in grado anche solo di impostare la soluzione dei gravi problemi di una Capitale ormai allo sbando, ma soprattutto sul fatto che anche la sua giunta, come ha dimostrato l’inchiesta del procuratore Pignatone, si è rivelata largamente permeabile all’azione corruttiva dei «fascio-mafiosi» che avevano infiltrato il Campidoglio ai tempi di Gianni Alemanno. In ogni caso, giocando d’astuzia, sorvolando e traccheggiando, Marino potrebbe andare avanti così per settimane, anche oltre l’apertura della Porta Santa per l’inaugurazione del Giubileo straordinario di Papa Francesco rispetto al quale si sta facendo poco o nulla.

E allora torniamo alla domanda iniziale: Roma e l’Italia si meritano una simile situazione? Di Roma abbiamo detto, e più volte scritto su questo giornale, di quanto sia miseranda la situazione in cui versa. Dell’Italia, viene da ricordare quanto detto ieri dal magistrato Raffaele Cantone il quale ha quasi simbolicamente restituito a Milano il ruolo di capitale «morale» per aver saputo, dopo i guasti, reagire e condurre in porto positivamente l’operazione Expo mentre, dice sempre il capo della Autorità anti-corruzione, «Roma non ha gli anticorpi sufficienti per rialzarsi». L’Italia che sembra riprendersi dalla crisi economica – ieri la fiducia di famiglie e aziende ai massimi dal 2008 e la previsione di una crescita del Pil all’1% - ha diritto non solo ad una capitale «morale», che comunque è un patrimonio da custodire e difendere, ma anche ad una capitale politica che sia lo specchio e il simbolo della rinascita. E questo non c’è e probabilmente non ci sarà per lungo tempo.

A Roma servirebbe un grande, collettivo sforzo di buona volontà, senso di responsabilità, onestà e competenza per poter risalire nella considerazione degli italiani che oggi invece vi vedono quasi esclusivamente lotte spregiudicate di potere insieme a malaffare, sprechi e inefficienze. Servirebbe dunque una classe dirigente. Il punto però è che arrabbiarsi, scandalizzarsi e sermoneggiare non serve: occorrono decisioni incisive e selettive, quelle che Matteo Renzi dovrà prendere con vera urgenza.

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