Boccata d’ossigeno
per tanti pensionati

La legge di Stabilità messa a punto dal premier Matteo Renzi e dal ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan è quasi pronta e verrà presentata stasera al Consiglio dei ministri. Poi comincerà la maratona parlamentare, in piena bufera referendaria. L’impressione è che risenta molto di questo clima. Come se in vista dell’appuntamento del quattro dicembre il premier avesse messo a punto una serie di provvedimenti atti a conquistare il «sì» di molte categorie sociali, a cominciare dai pensionati. Il capitolo principale della manovra del 2017 infatti riguarda le pensioni, o meglio, gli attuali pensionati. Buona parte di loro beneficerà di un aumento della quattordicesima per le rendite più basse, l’estensione di questa mensilità alle pensioni di fascia superiore e l’allargamento della cosiddetta «no tax area» esente dall’imposizione fiscale.

Un bacino potenziale di almeno tre milioni di anziani. In pratica ci guadagneranno tutti i pensionati che stanno sotto i mille euro lordi al mese (tranne i più poveri, quelli che prendono solo la pensione sociale). Difficile non pensare a una manovra «pre-elettorale» dato che gli anziani, oltre ad essere molto numerosi in Italia, sono anche quelli più fedeli all’appuntamento elettorale. Per carità, i provvedimenti contribuiscono a dare un po’ di ossigeno a milioni di pensionati con redditi non certo da nababbi, ma in Italia il problema principale riguarda i giovani, i nuovi proletari (senza prole), cui il governo non dimostra di dare molta attenzione nonostante i proclami di un premier giovanilista.

Se aggiungiamo altri provvedimenti, come l’anticipo pensionistico (il cosiddetto Ape), il bonus mamme, le diecimila nuove assunzioni nel campo della pubblica amministrazione (che ha complessivamente tre milioni e trecentomila dipendenti , di cui oltre un milione nella scuola), e quant’altro, allora l’impressione che la manovra sia prima di tutto una sorta di «captatio benevolentiae» in vista del referendum confermativo sulla riforma costituzionale è molto forte. Quanto ai provvedimenti necessari a rilanciare la produzione e quindi l’occupazione, se ne vedono pochi. E soprattutto sono legati al giudizio dell’Unione europea, che non ha ancora dato il suo «placet» allo sforamento del deficit del 2,4 per cento rispetto al Pil rispetto al due per cento precedentemente programmato. Come è ormai noto, Renzi conta di sforare in virtù di due emergenze che dovrebbero essere stornate dai parametri di Maastricht (le cosiddette clausole di flessibilità): l’emergenza rifugiati e i costi di ricostruzione delle zone del Centro Italia colpite dal terremoto. Ma l’interpretazione politica in sede europea di questo tentativo di sforamento è tutt’altro che assodata. Renzi deve vedersela con i burocrati di Bruxelles e soprattutto con l’ostilità della Germania e degli altri Paesi del Nord Europa, notoriamente inflessibili con i bilanci degli Stati mediterranei.

Anche sul resto dei provvedimenti restano molte incognite. Non è ancora certa l’approvazione del fondo pluriennale vincolato che permette spese in conto capitale e soprattutto lo sblocco degli avanzi di bilancio degli enti pubblici virtuosi, cioè dei risparmi «congelati» dalle regole del «fiscal compact», che il governo intende impiegare nell’edilizia pubblica e scolastica.

Ma se è vero che il problema principale in Italia resta l’occupazione, in particolare l’occupazione giovanile, le misure messe in campo restano poche e aleatorie. Sgravi alle imprese se ne vedono pochi e quel poco di coperta corta che restava si è preferita darla al pubblico impiego e alle rendite pensionistiche. Verrà almeno attivata la domanda interna, l’altro grande problema del nostro Paese? Chi ha qualche soldo in più lo spenderà a beneficio delle imprese e dunque dell’occupazione? Col bonus degli 80 euro non ha funzionato, anche se ha portato piccoli benefici ai destinatari (che però di quella sommetta metà l’hanno messa in un cassetto e l’altra metà se la sono vista prosciugare dalle tasse locali). Né si vedono riforme in campo come quella della giustizia civile, assolutamente necessaria ad accorciare i tempi di processi «biblici» che ostacolano tutto il sistema economico e imprenditoriale. Si è preferito creare un blocco di consenso elettorale in vista della grande sfida del quattro dicembre. Ma il cinque dicembre il problema dell’economia italiana rimarrà ancora sul tavolo del governo.

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