Campagna elettorale
Violenza e populismo

Sabato 24 febbraio a Roma si terrà una manifestazione promossa dall’Anpi e dalle varie sinistre contro il razzismo, la violenza e il risorgere di tentazioni neo-fasciste. La speranza di tutti è che nella Capitale non si ripetano i tafferugli cui abbiamo assistito da ultimo a Torino, attori gli estremisti di destra e di sinistra, i nuovi sgraditi comprimari di questa campagna elettorale che nell’ultima settimana sta rischiando di precipitare verso un clima da anni ’70. Il livello di allerta del Viminale è molto alto, Roma verrà presidiata da migliaia di agenti e servirà mano ferma da parte di Marco Minniti e del prefetto Gabrielli perché le cose non degenerino.

Finora sono stati almeno settanta gli episodi di violenza ed è ovvio che continueranno: quel tipo di fuoco, quando si accende, impiega tempi lunghi per spegnersi come ben sanno tutti coloro che negli anni ’70 c’erano. La rabbia provoca altra rabbia e la voglia di menar le mani contro un «nemico», vero o immaginario che sia, è una tentazione per troppa gente vogliosa di sfogare in qualche modo il proprio fanatismo o anche una condizione di disagio sociale.

Che questa campagna elettorale sia brutta in modo inquietante lo stiamo dicendo da tempo: va avanti tra promesse roboanti, insulti da trivio, fake-news, candidati che cadono sotto la mannaia di scandali e avvisi di garanzia e nessun confronto serio sui programmi e le cose fare. Assistiamo a soliloqui davanti ad una telecamera in vista di un esito che i più prevedono foriero di instabilità se non di un vero e proprio stallo politico.

Se però una brutta campagna elettorale diventa anche violenta le cose davvero si complicano: rischiamo un finale tumultuoso e il turbamento di un elettorato già tentato in larga misura dalla fuga con disgusto dalle urne.

In questo contesto servirebbe un po’ di prudenza anche da parte di alte autorità: quando il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker fa fare un tonfo alle Borse e un salto allo spread perché dice di prevedere che l’Italia non avrà un governo stabile e operativo dopo le elezioni, dà prova di una irresponsabilità così clamorosa che sarebbe meglio immaginarselo non del tutto lucido quando detta dichiarazioni del genere.

Perché al vertice di Bruxelles non si può non sapere che si fa il gioco degli estremismi se si contribuisce a trasformare in una sorta di rodeo anti-europeista una tornata elettorale così delicata per l’Italia che è appena convalescente dopo dieci anni di crisi economica, che ha fatto molti sacrifici che potrebbero essere vanificati in un soffio e che è ancora condizionata da un debito pubblico il cui peso, come ci ha avvertito l’Ocse, potrebbe peggiorare.

Per ovvia conseguenza, quando la contesa politica si radicalizza, a rimetterci sono sempre le forze moderate ed europeiste – che siano di centrodestra o di centrosinistra da questo punto di vista poco rileva – perché sono quelle che cercano di parlare un linguaggio ragionevole e come tale meno immediato, meno capace di raggiungere e sollecitare gli umori dell’elettorato.

A che giova dunque lanciare allarmi di questo genere? Bene ha fatto Paolo Gentiloni a rispondere seccamente a Juncker (che poi infatti ha rettificato) e bene hanno fatto i partiti a respingere un’ingerenza tanto maldestra. Gli italiani debbono poter decidere avendo presenti tutti gli elementi di giudizio ma senza sentirsi ricattare.

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