Caos a Roma,
Grillo si gioca tutto

Nel momento in cui il Partito democratico vive una delle fasi più pericolose della sua storia, il suo massimo competitore, il Movimento Cinque Stelle, sente di avere davanti una possibilità in più. Un Pd renziano indebolito dalla scissione, un governo costretto a trattare con più difficoltà per ottenere il consenso parlamentare, sono tutti fattori che agevolano la corsa grillina verso la vittoria elettorale e la conquista del governo. Tanto più in un momento in cui l’Italia affronta le contestazioni della Ue sul piano dei conti pubblici e del nostro gigantesco debito: la prospettiva della procedura di infrazione che Bruxelles continua a minacciare rinviandone però l’esecuzione, annuncia una manovra di correzione che non potrà essere gradita agli italiani ai quali per tre anni Renzi ha promesso di abbassare le tasse. E di questo Grillo e i suoi si avvantaggiano. Qualunque sia la data delle elezioni politiche, in settembre o a febbraio o nella prossima primavera, di sicuro in maggio ci sarà un importante turno amministrativo che il M5S potrebbe vincere replicando i successi di Torino e, soprattutto, di Roma.

Già, Roma. L’amministrazione della Capitale è il più grosso inciampo in questa corsa pentastellata verso Palazzo Chigi. Quella che doveva essere la prova regina della capacità dei «ragazzi meravigliosi» di Beppe di affrontare la prova del governo, e dunque il passaporto per il governo nazionale, si sta rivelando invece un ingombro. Anzi, meglio: la cartina al tornasole della impreparazione dei capi grillini, la denuncia della inesistenza di una vera classe dirigente e della carenza di competenze tra le personalità di spicco del movimento. Le disavventure di Virginia Raggi, da questo punto di vista, sono ben più rilevanti dei bisticci di Luigi di Maio con la geografia o i congiuntivi.

La sindaca di Roma è alle prese con una città sprofondata in una crisi gravissima: certo la responsabilità di questo declino della Capitale va messa in capo alle amministrazioni precedenti, di centrodestra e di centrosinistra, che hanno clamorosamente fallito e si sono mescolate non solo con l’inefficienza della burocrazia capitolina ma soprattutto con bande di malaffare che hanno letteralmente svuotato le casse del Comune, spolpato le sue aziende municipalizzate, ingolfato gli uffici di raccomandati e parenti, venduto licenze, concessioni, appalti, consulenze e stipendi agli «amici degli amici» in un reticolo che la Procura di Giuseppe Pignatone ha bollato con il marchio della mafiosità. Di tutto ciò naturalmente non è responsabile Virginia Raggi. Il punto però è che in questi mesi la Raggi e i suoi collaboratori – nella giostra di dimissioni, liti, sostituzioni, guai giudiziari – non hanno mostrato di avere in testa un’idea anche minima di come amministrare Roma per sollevarla dallo stato di degrado in cui versa. Non c’è un progetto, un programma, una decisione ma un giorno per giorno inconcludente. Neanche l’ordinaria amministrazione ha ripreso un ritmo normale. Solo il «no» dei grillini alle Olimpiadi è stato chiaro, ancorché assai controverso, mentre sullo stadio della Roma si cincischia, si esita, si rimanda: dopo una campagna elettorale condotta contro i «palazzinari» adesso la sindaca deve trattare con loro e affrontare nello stesso tempo le ire dei militanti, le divisioni interne e le polemiche tra chi vorrebbe costruirlo, lo stadio, e chi non ne vuol neanche sentir parlare. Si è mosso Grillo, ancora una volta, andando a Roma per cercare di coprire le divisioni, le incertezze e le polemiche.

Ecco perché Roma è un ingombro sulla strada del Movimento Cinque Stelle. Perché mette sotto i riflettori le inadeguatezze del «nuovo». C’è la possibilità che un certo numero di elettori possa ritrarsi dal concedere una chance ai grillini come gesto di estrema protesta contro i partiti tradizionali. Ecco perché, per Grillo e Casaleggio jr la Raggi deve essere protetta e mantenuta al proprio posto: il suo fallimento potrebbe segnare il fallimento di tutti i suoi compagni di avventura.

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