Caos Roma, colpo
ai sogni dei grillini

Il terremoto che sta sconvolgendo la Roma politica rischia di avere forti ripercussioni in questi mesi pre-elettorali caratterizzati da un governo transitorio. Già, perché il terremoto riguarda Virginia Raggi e la sua giunta capitolina che sin dall’inizio è stata considerata come la «prova generale» della conquista del governo nazionale da parte del Movimento Cinque Stelle alle prossime elezioni. Dopo la vittoria referendaria del No – largamente attribuita a Grillo e ai suoi – al Movimento sembrava bastare un ultimo balzo per entrare trionfalmente a Palazzo Chigi e sfrattare i democratici che lo occupano con i loro alleati. Una prospettiva resa certa dai sondaggi che davano il M5S ormai stabilmente primo partito italiano, e tale considerata dagli altri partiti di centrosinistra e centrodestra, pronti a varare una legge elettorale in funzione anti-grillini.

Ebbene, prima le dimissioni di Paola Muraro, il controverso assessore ai rifiuti, e poi ieri mattina l’arresto per corruzione di Raffaele Marra, braccio destro della Raggi, rischiano di dare un colpo mortale a quella prospettiva di gloria e di potere. Le ferite precedenti – i casi di Livorno, di Parma, della Sicilia, le firme false a Palermo e Bologna – non sono paragonabili con la crisi di Roma. Tanto più perché la gestione del Campidoglio è stata un motivo ricorrente dello scontro tra le correnti interne mettendo Grillo in mezzo e sempre più in difficoltà senza il vecchio amico Casaleggio. Contro la Raggi e contro il suo protettore Luigi di Maio, si sono schierati dall’inizio dirigenti di peso come Roberto Fico, Roberta Lombardi, Carla Ruocco che non hanno mai perso occasione per attaccare l’autonomia della prima e il comportamento del secondo, candidato (per ora) premier pentastellato che ha coperto in tutti i modi il sindaco.

Il problema però è che la vita della giunta capitolina è stata un calvario sin dall’inizio: all’assenza di programmi, progetti, iniziative da parte di una classe amministrativa palesemente inadeguata ad affrontare i problemi di una metropoli che versa ormai in stato di abbandono, si è accompagnata una continua guerriglia interna intorno ai posti in giunta, agli stipendi, ai contratti dei collaboratori, alla composizione della squadra che in realtà non è mai stata completata e anzi è stata tormentata da continue defezioni (arrivarono mesi fa cinque dimissioni in un solo giorno: i vertici delle società municipalizzate più l’assessore al Bilancio e il capo di gabinetto) e da pasticci per farvi fronte. E in più, la storia infinita di Paola Muraro, l’ex ormai assessore alla nettezza urbana, già consulente milionaria dell’azienda rifiuti, che dal primo giorno ha sistematicamente allontanato tutti i suoi nemici dell’Ama per riportare in vita l’antico rapporto del Comune con l’avvocato Manlio Cerroni (il proprietario della più grande discarica d’Europa, Malagrotta, fatta chiudere dal sindaco Marino) il cui potere nei decenni è stato considerato, anche dalle inchieste giudiziarie, come uno dei più potenti fattori di corruzione di Roma.

Riportare Cerroni a mettere piede in Campidoglio era uno scandalo intollerabile per l’ala «sinistra» dei grillini, messi sempre più in allarme dal rapporto di assoluta fiducia che legava il sindaco alla Muraro e ad un gruppo di reduci della vecchia giunta di centrodestra infiltrata da «Mafia Capitale», tutti provenienti dalla destra romana, a capo dei quali era appunto Raffaele Marra. «Se lo toccate mi dimetto»: la Raggi ha più volte minacciato le sue dimissioni a chi le chiedeva di allontanare quell’ex missino, collaboratore di Alemanno e di Renata Polverini, da molti considerato il vero «sindaco ombra», così potente da far assumere suo fratello in Campidoglio. E ora che Marra è finito in galera e la Raggi ha tentato goffamente di scaricarlo («un tecnico qualunque») l’attesa è – già da oggi – per atti e rivelazioni riguardanti il sindaco in persona. Insomma, tutti si aspettano un avviso di garanzia anche per lei: se succedesse, Grillo dovrebbe imporle le dimissioni secondo le regole del Movimento, e si andrebbe a nuove elezioni comunali. Ma questo clamoroso tonfo probabilmente sotterrerebbe i sogni di gloria dei pentastellati portandosi via, col fallimento dell’esperimento a Roma, anche la prospettiva della conquista del governo nazionale.

A Milano Beppe Sala ha scelto di autosospendersi un attimo dopo essere stato raggiunto da un avviso di garanzia; a Roma la Raggi ha detto «noi andiamo avanti» nonostante tutto. Sarebbe interessante sapere dai sondaggisti quanti romani che l’hanno votata sei mesi fa come ultima speranza dopo i disastri di Alemanno e Marino, della destra e della sinistra, oggi le darebbero ancora fiducia.

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