Caso «Ita», la difficoltà di essere protagonisti

Carsten Spohr è a capo di Lufthansa dal 2014. Conosce le rotte degli aerei ma anche quelle della politica. In questi giorni ha scritto al presidente del Consiglio Mario Draghi in termini che potremmo definire inusitati. Ha messo a verbale che la sua pazienza non è infinita. Di fatto un ultimatum al capo di governo di uno Stato del G7 oltre che membro fondatore dell’Unione Europea. Da dove viene tutta questa veemenza resa pubblica al di fuori dei canali diplomatici? Il ceo della maggiore compagnia aerea europea teme per Ita, l’erede di Alitalia. Le trattative per la cessione vanno per le lunghe.

Giorgia Meloni ha fatto sapere di essere contraria alla definizione dell’accordo e vorrebbe che ad occuparsi della cosa fosse il nuovo governo. A Francoforte hanno sentito che i venti iniziano a soffiare in direzione contraria. I precedenti non mancano. Ha fatto storia il fax di venti righe con il quale nel 1999 la compagnia olandese Klm rompe l’alleanza con Alitalia. Poco prima il ministro italiano dei Trasporti aveva bloccato il trasferimento dei voli da Linate a Malpensa e quindi fatto venir meno i presupposti operativi per la fusione. Va notato che gli olandesi avevano pagato 100 milioni per l’ampliamento di Malpensa. Alitalia era rimasta ostaggio della politica italiana e in ragione dell’instabilità dei governi incapace a tener fede agli impegni presi a lungo termine.

Lufthansa conosce bene la storia anche perché fu protagonista nel lavoro di lobbying presso la Commissione Europea per far fallire una fusione che avrebbe oscurato allora il prepotere delle grandi compagnie da Air France a British Airways. Klm trattò poi con i francesi di Air France e portò in porto quello che con gli italiani non era riuscito. La sovranità degli Stati si misura anche nella capacità di avere il controllo della mobilità. I tempi sono cambiati ma il principio resta invariato: il centro decisionale deve restare al Paese guida. Chi ha bassi numeri deve unirsi ai grandi per restare sul mercato. Swiss Air a suo tempo era fallita, poi ha fatto un accordo con Lufthansa ed è tornata profittevole.

La svedese Sas, è notizia di questi giorni, ha presentato istanza di fallimento dopo lo sciopero dei piloti perché non in grado di far fronte ad una nuova emergenza dopo le difficoltà legate al calo del traffico durante la pandemia. Stiamo però parlando di Paesi piccoli o con pochi abitanti l’Italia è un’altra cosa. Ha un bacino di utenza di 60 milioni di abitanti, una rete di circa sei milioni di italiani nel mondo, circa il 10%, che per orgoglio nazionale misto a nostalgia ama spostarsi con la compagnia di bandiera e soprattutto è attrazione turistica, oggetto di desiderio per milioni di persone colpite dalle bellezze artistiche di un museo a cielo aperto. Per Lufthansa un bel boccone.

Ma questa volta va detto che la prudenza con la quale il governo Draghi si muove è dettata dal desiderio di garantire all’Italia una voce di rilievo nella gestione di un’alleanza che vede la presenza di Msc, leader della crocieristica gestito dal napoletano Aponte ma con sede in Svizzera, per il 60%, mentre ai tedeschi andrebbe il 20% e allo Stato italiano un altrettanto 20%. L’aeroporto di Linate verrebbe potenziato e Fiumicino diventerebbe il terzo hub di Lufthansa dopo Francoforte e Monaco di Baviera per tutte le rotte verso l’Africa e il Sudamerica. Per Ita un risultato di vantaggio sul piano industriale. Per Italia la certificazione di una tendenza. Dopo la vendita di Autogrill agli svizzeri di Dufry, la fusione di Luxottica con i francesi di Essilor e il trasferimento della sede a Parigi, la città che ospita Stellantis dopo il passaggio di Fca a Peugeot, si conferma la difficoltà del Paese ad essere protagonista delle sfide del nostro tempo e sovrano in casa sua

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