Castro fra teoria
e pratica di governo

Fidel Alejandro Castro Ruz, chiamato in gran parte del mondo solo Fidel, è vissuto così a lungo (90 anni) e ha regnato su Cuba così a lungo (dal 1959 al 2008) da aver vissuto molte più vite di quell’ unica che si è spenta ieri. È stato un rivoluzionario, un autocrate del socialismo reale, un leader capace di farsi apprezzare da tre Papi e, negli ultimi tempi, persino un simbolo della resistenza a quel mondialismo globalizzante che a molti popoli sembra, più che una garanzia di benessere, un’ ipoteca sull’ identità e l’ indipendenza. Il merito di tutto questo, però, non è di Castro ma del mondo che è cambiato intorno a lui e alla Cuba che, per suo volere, non è cambiata affatto.

Quando prese il potere cacciando l’ ex sergente di fanteria Fulgencio Batista che per un ventennio, tra golpe e fughe all’ estero, aveva dominato la scena, Castro promise solennemente: «Né il comunismo né il marxismo sono la nostra idea. La nostra filosofia politica si basa sulla democrazia rappresentativa, sulla giustizia sociale e su un’ economia ben pianificata». Questa la teoria. La realtà purtroppo dice che per decenni Cuba è stata guidata su binari opposti a questi: partito unico a conduzione semi-familiare e repressione del dissenso; giustizia sociale realizzata generalizzando la povertà; economia da Paese in perenne e sempre mancato sviluppo.

Non che manchino le contraddizioni positive: nelle graduatorie internazionali del cosiddetto sviluppo umano, Cuba risulta molto meglio piazzata che in quello dello sviluppo economico. Istruzione e sanità sono di ottimo livello e garantite a tutti. La qualità della vita è per ogni cittadino superiore alla ricchezza individuale. Ma ha senso che, ancora oggi, il governo dell’ isola paghi gran parte del petrolio fornito dal Venezuela con le prestazioni lavorative di migliaia e migliaia di infermieri e medici spediti a lavorare a Caracas e dintorni? È vero, Cuba sopporta da mezzo secolo il peso del bloqueo, l’ embargo economico varato dal presidente Eisenhower e completato da John Fitzgerald Kennedy. Ma quando Castro prese il potere, gli americani riconobbero ufficialmente il suo governo. In quel 1959, essi controllavano almeno un terzo della produzione della canna da zucchero, il monoprodotto cubano; il 75% delle esportazioni cubane andava verso gli Usa e il 65% delle importazioni arrivava dagli Usa.

Castro varò una serie massiccia di nazionalizzazioni ed espropri e propose al gigante americano indennizzi con buoni del Tesoro cubano a scadenza ventennale. Una barzelletta. Washington reagì con la durezza che sappiamo: nel 1961 interruppe le relazioni diplomatiche e chiuse Cuba nell’ assedio economico che non si è ancora interrotto. A che cosa è servita l’ eroica sopportazione dei cubani? A che cosa li ha portati Fidel Castro? A poco. L’ economia di Cuba, dove oltre il 70% della forza lavoro è salariata dallo Stato, è tuttora legata alla sempre più deprezzata canna da zucchero, come lo era non solo nei primi tempi del castrismo ma già più di un secolo fa. E la benevolenza dei Paesi amici continua a fare la differenza: quando l’ Urss si dissolse e i finanziamenti sovietici vennero meno, in tre anni l’ economia cubana si contrasse del 35%.

La morte del Lider Maximo ora apre, e non solo simbolicamente, la porta del futuro dell’ isola. Che per l’ ennesima volta dipende da altri. Il disgelo siglato da Raul Castro e Barack Obama ha prodotto aperture significative (anche in campo economico) ma per cambiare davvero la situazione bisognerebbe che il Partito comunista cubano facesse di colpo ciò che non ha saputo fare in sessant’ anni, oppure far sparire il bloqueo. Cosa a cui i repubblicani, che ora dominano il Congresso, e lo stesso presidente Trump fieramente si oppongono. Fidel Castro è morto senza dover assistere alla resa della sua piccola isola alla pressione feroce del gigante americano. Forse anche suo fratello Raul (85 anni) ce la farà. E poi? Che resterà dei sacrifici quotidiani di tanti cubani, delle sofferenze dei prigionieri politici, della rabbia degli esuli? L’ orgoglio della memoria, certo. Ma in un Paese dove, a quel punto, i dollari saranno tornati a farla da padrone. Come se Castro non fosse mai esistito.

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