Coesione sociale
Priorità per l’italia

Guardo a questa campagna elettorale e al dibattito che in essa si svolge con profonda inquietudine. È innegabile che si viene evidenziando una situazione alquanto confusa sul piano politico. Non mi meraviglia se tra le persone predomini una situazione d’incertezza, di timore e di paure. La campagna elettorale in corso non sembra, allo stato attuale, in grado di fugare le percezioni negative e sono, purtroppo, portato a pensare che il voto del 4 marzo, con molta probabilità, non riuscirà a dipanare. Se dovesse determinarsi una situazione di forti esitazioni politiche c’è il rischio che si possano determinare ulteriori ricadute negative sul terreno sociale e contribuire ad alimentare e consolidare il malessere sociale che ha investito la nostra società e che ne sta disgregando gli elementi di coesione.

A fronte di queste previsioni e in attesa del risultato elettorale bisogna porsi la questione del che fare per tutelare l’Italia e in particolare i ceti sociali più deboli. In prima istanza questo interrogativo va posto alle forze politiche che competono per governare il Paese che ora sembrano più impegnate su fronti divisivi che non a determinare, pur nelle differenze, elementi di connessione. Chiunque vinca la contesa elettorale deve sapere che non si dà governabilità senza che si determino elementi di tenuta sociale.

In questo contesto sono chiamate in campo anche le forze sociali, i sindacati e gli imprenditori e associazioni. Bisogna che le varie proposte che in questi mesi hanno avanzato sindacati e Confindustria trovino una profonda convergenza. Non basta enfatizzare l’incontro di Verona degli industriali, che si è sgonfiato nel giro di pochi giorni. Nemmeno aiutano i vari documenti elaborati e diffusi dalle confederazioni sindacali che il più delle volte danno la sensazione di un già detto: serve che le forze sociali e in primis il sindacato escano dall’autoreferenzialità difensiva che condiziona il loro agire e le loro proposte e facciano da pungolo alle forze politiche.

Non credo sia possibile una «seconda stagione di riforme», come auspica il presidente del Consiglio, se non si fa una valutazione attenta e razionalmente e socialmente critica delle riforme fatte per individuarne i punti di forza, le contraddizioni e le debolezze. Nello stesso tempo bisogna sapere che non sono possibili riforme coesive se non vi partecipano le forze sociali.

Del resto, questa è la storia politica del nostro Paese e del nostro modello di democrazia, sempre nei momenti critici c’è stata una assunzione di responsabilità delle organizzazioni sociali. Non si tratta come qualcuno potrebbe pensare di riproporre il vecchio modello di concertazione che pure, in un’epoca storica diversa dalla nostra, ha funzionato, ma di elaborare i contenuti di un patto sociale che affronti la complessità del nostro tempo.

Quando la politica entra in crisi e l’incertezza predomina il malessere sociale si estende e amplia i vari risentimenti e gli interessi particolari tendono a prendere il campo. Nessuno può permettersi di arrendersi o mettersi di lato contemplando il succedere degli avvenimenti. Se vogliamo che l’Italia guarisca le ferite subite dalla grande recessione e rilanciarsi è necessario che oltre all’economia si affrontino le questioni sociali che travagliano la nostra società, si ricostruiscano valori e una dimensione etica per consentire alle persone e ai ceti sociali più deboli di stare dentro con dignità nella «grande trasformazione» che viene preannunciata dall’incipiente rivoluzione digitale.

In campo non c’è solo la questione dell’occupazione che resta comunque, soprattutto quella giovanile, urgente, e che richiede interventi sul breve periodo, ma è ora di iniziare, senza paura di sbagliare, a pensare a quale modello sociale attrezziamo per fare stare le persone e le nostre imprese nei nuovi processi di globalizzazione e d’innovazione tecnologica radicale. La rivoluzione digitale che non appartiene più al futuro ma che è dentro il nostro presente avrà delle forti ricadute sul lavoro in termini di occupati e di competenze e non si tratta di piccole cose, ma di un processo che si preannuncia così radicale da modificare la nostra idea di lavoro, di fare impresa e di vivere insieme e che sta già generando nuove conoscenze, informazioni e nuovi poteri che molte volte sfuggono al controllo democratico: sta ristrutturando il modo con cui si pensano e si gestiscono gli affari, l’economia, le modalità di governo e gli impegni politici. Di conseguenza, il modo in cui le persone comuni, i lavoratori, i manager, dirigenti e imprenditori, interagiscono tra loro e con le aziende sta cambiando profondamente, anche se non sempre ne abbiamo la percezione compiuta.

Le nuove tecnologie in generale, e il mondo digitale in particolare, stanno influenzando radicalmente le forme del vivere, delle relazioni, del produrre e genera una nuova idea di merci e beni e costringe, giorno dopo giorno, il sistema produttivo privato e pubblico a fare i conti con la mutevolezza delle preferenze delle persone e pertanto a modificare in continuità le proposte di valore e i modelli di distribuzione.

Non si tratta di piccoli cambiamenti ma della messa in campo di processi cosi imponenti da modificare in modo radicale il mercato del lavoro, diminuendo in assoluto il numero degli occupati e aumentando le disparità salariali.

Solo una maggiore coesione sociale potrà evitare che i molti possano essere esclusi e che alimentino una diffusa ribellione (un moderno luddismo) capace di mettere a rischio il progresso tecnologico e le stesse istituzioni democratiche. Il compito a cui le forze sociali e il sindacalismo sono chiamate a svolgere nel nuovo contesto è quello di costruire un futuro condiviso ed evitare che si produca un’eccessiva frammentazione sociale generata dal crescere delle disuguaglianze e delle povertà.

È importante che si discuta di fisco, di pensioni e di welfare, che si accentui il tema degli investimenti e delle opere pubbliche, ma diventa sempre più impellente affrontare con criteri umanitari e rispetto della dignità delle persone che le vicende dell’immigrazione pongono che vanno valutate anzitutto con criteri umani. Diventa pertanto necessario un impegno capace di generare una nuova coesione sociale che ruoti attorno al valore della solidarietà.

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