Concretezza astratta
Manifesto di governo

Il governo ha presentato nelle scorse settimane un disegno di legge intitolato «Concretezza nella Pubblica amministrazione». Nulla di male. Anzi, si dovrebbe ritenere il progetto un modo per favorire l’attuazione delle numerose leggi che l’esecutivo sta varando per dare attuazione al faraonico «contratto» stipulato tra M5s e Lega. Da più parti, in questi mesi, si sono avanzate perplessità sulla possibilità di attuare le norme che dovrebbero produrre il «cambiamento» del quale la coalizione che governa il Paese si è fatta garante.

Si pensi soltanto alla revisione delle procedure amministrative indispensabili a garantire l’erogazione – a legge approvata – del reddito di cittadinanza, oppure ai meccanismi necessari a pagare le pensioni a coloro che avranno raggiunto la «quota 100». Entrambe le leggi, per diventare operative, imporranno una riorganizzazione di molti uffici pubblici. Contrariamente a quanto molti credono – primi tra tutti, in generale, proprio i governi – l’approvazione di una legge non risolve di per sé i problemi. In particolare per le norme che innovano criteri e parametri dell’azione delle amministrazioni pubbliche. Non basta uno schiocco delle dita e nemmeno lo schioccare della frusta per far funzionare adeguatamente la macchina amministrativa.

L’obiettivo che si pone il progetto governativo è condivisile. Ma le misure previste da un lato appaiono troppo ambiziose e, dall’altro, prevedono modalità di incerta praticabilità. Una congerie di prescrizioni minute senza un minimo di visione d’insieme. Le finalità indicate (snellire drasticamente le procedure e ridurne significativamente i tempi) e i criteri individuati per raggiungerle scontano una chiara mancanza di conoscenza del funzionamento degli apparati pubblici. Circostanza che prefigura per il disegno di legge un futuro incerto, a voler essere ottimisti. Il sicuro naufragio, se si vuole essere realisti.

A differenza di altre iniziative dell’attuale governo, che stridono spesso con la logica stessa, l’idea di mettere mano a un miglioramento della qualità del sistema pubblico è meritoria. Le prestazioni largamente insufficienti di molti uffici pubblici sono una realtà con la quale i cittadini si misurano quotidianamente; il carattere spesso assolutamente irragionevole delle procedure è condannato da tutti, a cominciare dai governanti; il lassismo che esiste in parti consistenti degli uffici pubblici viene a galla, a ondate successive, a mesi alterni ad opera della magistratura. I casi – nei quali l’amministrazione funziona bene con soddisfazione degli utenti e degli stessi impiegati – rimangono isole. Certamente meritorie, ma non in grado di fare sistema.

In tale contesto, nel quale le deficienze superano ancora largamente gli esempi di buona qualità dei servizi, non saranno mai possibili risultati apprezzabili, se non si definisce un piano complessivo di riforma, nel quale siano contenute linee strategiche sulla base delle quali articolare gli interventi settoriali, le modifiche da apportare in ogni singolo ambito, le risorse finanziarie necessarie, le redistribuzione del personale addetto. Per bypassare questo percorso obbligato, il governo preferisce puntare sugli slogan, invece di affrontare i nodi reali. Come se la scelta delle parole potesse cambiare la realtà. La «concretezza» evocata nel progetto si traduce in proposito quasi sempre slegati dalla realtà, privi di una accurata analisi costi/benefici. Sembra di essere innanzi a una «concretezza astratta». Un ossimoro. Non è il primo che l’attuale governo ha coniato. Mezzo secolo fa nelle piazze degli Stati Uniti, poi in quelle francesi e italiane si scandiva uno slogan rimasto nella memoria collettiva: «L’immaginazione al potere». Si sa come è andata a finire. È rimasta soltanto l’immaginazione.

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