Conti pubblici
Tregua a tempo

L’Italia deve spostare la tassazione sulla ricchezza, la proprietà e i consumi e con quelle risorse abbassare le tasse sul lavoro. Questa la ricetta di Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale. Per un’istituzione con sede a Washington, facile a dirsi: non deve rendere conto agli elettori. Tradotto nella politica del quotidiano vuol dire, una patrimoniale, l’Imu sulla prima casa, l’aumento dell’Iva e al contempo un alleggerimento delle spese per chi crea lavoro. Un tabù per qualsiasi governo. Meglio blandire le aspettative con redditi di cittadinanza e riduzione drastica delle imposte, la cosiddetta flat tax. Ed è questo il motivo per cui la sortita degli Springs Meetings del Fmi sulla stampa italiana è finita a pagina due e si è persa nel mare delle notizie.

La verità è che il messaggio che si desume dal Fiscal Monitor, il rapporto che si occupa dei conti pubblici degli Stati, va equiparato alla famosa lettera inviata nel 2011 dalla Banca Centrale Europea di Draghi e Trichet a Berlusconi, allora capo del governo che poi dovette dare le dimissioni in una situazione divenuta insostenibile a causa del differenziale di interesse dei titoli di Stato italiani sul Bund tedesco. L’unica differenza con allora è che ora tutto è tranquillo, i mercati sono calmi e nulla lascia presagire che lo scenario possa cambiare. Ai partiti italiani è stato dato tempo in attesa che definiscano un programma di governo. Ma a livello internazionale le luci sono accese e non appena si configura la possibilità di tradurre in pratica quanto promesso in campagna elettorale e cioè un aumento del deficit di bilancio per sostenere spese sociali, siano l’abolizione della legge Fornero, siano le riduzioni drastiche al 15% dell’imposizione fiscale generalizzata, siano i redditi di cittadinanza per nuclei famigliari sino a 1.600 e oltre euro al mese è fatale che i titoli italiani del tesoro cessino di essere appetibili se non per la speculazione.

Quando risulterà chiaro che tutti questi aumenti di spesa servono alla pacificazione sociale ma non aumentano la produttività del sistema Italia allora scatterà l’allarme. E si ha un bel dire che da queste misure deriverebbe un aumento degli investimenti e dei consumi. Con un debito che cala dello zero virgola, a lungo termine saremo tutti morti e i mercati vogliono certezze nel presente. Troppo debole la crescita e troppo forte l’instabilità politica per rassicurare investitori internazionali di lungo corso. Di questo nessuno parla, come se l’Italia fosse diventata improvvisamente la Germania. Là, è vero, crescono i salari, l’età pensionabile è calata e anche le pensioni hanno avuto un aumento. Ma il bilancio pubblico è in attivo e anche il nuovo ministro delle finanze tedesco , il socialdemocratico Olaf Scholz, mantiene la linea di austerità del suo predecessore Wolfgang Schäuble. Non sono i Macron che fanno la differenza. Il presidente francese si è incontrato ieri con Angela Merkel ma è chiaro che sul tema caro agli italiani dell’Unione bancaria non si registrano passi avanti. Finché i cosiddetti Npl, ovvero non performing loans, cioè i crediti inesigibili non spariranno dai bilanci delle banche italiane i tedeschi non intendono correre alcun rischio. Avremo una politica di difesa più coordinata, dove al centro ci saranno gli interessi dei produttori di armi francesi, tedeschi e a margine anche italiani, una maggiore disponibilità di Frontex a farsi carico del controllo delle frontiere esterne europee e quindi dei migranti ma sull’Euro rimarremo dove siamo. Fin quando anche in Italia si capirà che la riduzione del debito ha un solo significato: sacrifici.

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