Decreto dignità,
matematica e terrorismo

Le commissioni della Camera che stanno esaminando il decreto cosiddetto «Dignità» varato dal governo, oggi ascolteranno, tra i vari esperti, anche il professor Tito Boeri, presidente dell’Inps. Avranno dunque in diretta il parere di chi ha prodotto le famose tabelle allegate al decreto (e approvate dalla Ragioneria Generale) secondo cui le conseguenze economiche del provvedimento sarebbero a dir poco disastrose. Sarà interessante vedere come Boeri confuterà la tesi governativa (del suo collega professor Tria più che di Di Maio) secondo cui quelle stime così negative non avrebbero alcuna «base scientifica». Di sicuro, però, a fianco Boeri si ritroverà le organizzazioni datoriali, a cominciare dalla Confindustria, protagonista di uno scontro davvero inedito con il governo. Inedito perché la organizzazione degli industriali è per sua natura «governativa» e se deve attaccare Palazzo Chigi lo fa a ragion veduta e dopo aver molto pensato.

Questa volta non è andata cosi, e le critiche sono fioccate immediatamente. Al punto che ieri, dopo l’ulteriore critica confindustriale espressa in commissione alla Camera, è sceso in campo per rispondere il presidente del Consiglio in prima persona allo scopo di affiancare Di Maio, e difesa non fu mai più offensiva: Conte infatti ha insinuato che a Viale dell’Astronomia il decreto non lo avrebbero capito, forse nemmeno letto. Dalla parte degli industriali si è subito schierata Forza Italia insieme, sia pure con toni diversi, al partito democratico.

Tutti sostengono che il decreto, appesantendo i costi per le imprese e soprattutto rendendo di nuovo rigido il mercato del lavoro in materia di contratti a tempo determinato, finirà per distruggere migliaia, se non decine di migliaia, di posti di lavoro. Sarebbe, quello di Di Maio, un approccio tutto «ideologico» alla questione tale da ricordare, diceva l’on. Gelmini, il Pci degli anni ’70. «Puro allarmismo», è stata la risposta sprezzante di Di Maio.

Sia come sia, si sta scavando un solco profondo tra questo governo e imprese, costringendo queste ultime quasi all’opposizione: un tema che non può non procurare allarme in casa della Lega, punto di riferimento elettorale e politico di una gran parte del mondo imprenditoriale delle aree più dinamiche del Paese, quelle che si sono messe la crisi alle spalle e adesso vogliono flessibilità per rendere più solida la reindustrializzazione dell’Italia. Difficile dunque che le proposte di revisione del decreto da parte della Lega si limitino alla reintroduzione dei voucher in agricoltura. Per accogliere almeno in parte le richieste dei datori di lavoro servono modifiche sostanziali e profonde. Senza naturalmente dimenticare che stiamo parlando di un decreto, e che dunque è in vigore per sessanta giorni, termine oltre il quale dovrà essere trasformato in una legge, e se tra i due testi ci fossero delle differenze sostanziali si produrrebbe una inevitabile confusione normativa.

Mentre Palazzo Chigi si appresta a varare l’ennesimo decreto Milleproroghe (in genere lo si aspettava a fine anno, ora lo hanno anticipato all’estate) stanno finalmente andando in porto le intese per le nomine: il Parlamento ha eletto i consiglieri di amministrazione Rai ma manca ancora l’accordo Lega-5S su presidente e amministratore delegato della tv pubblica: la spartizione non è cosa facile. Le opposizioni contestano metodi e merito delle scelte della maggioranza e si apprestano alla battaglia dalle commissioni di vigilanza: il Copasir, che controlla i servizi segreti, va ai democratici e la Commissione Rai è spettata a Forza Italia. L’intesa tra i due partiti ha fatto gridare allo scandalo i cugini separati di Leu e ha scontentato Fratelli d’Italia.

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