È un successo del premier
aspettando ottobre

Quorum mancato, referendum fallito. Promotori e sostenitori del sì all’abrogazione della norma sulle concessioni petrolifere esistenti entro le 12 miglia marine hanno portato alle urne circa il 30 per cento degli elettori, molto al di sotto di quel 50 più uno necessario a rendere valida la consultazione e anche al di sotto delle loro speranze.

Per un soddisfattissimo Matteo Renzi è stata una vittoria chiara, e il premier lo ha implicitamente rivendicato nel suo messaggio televisivo ad urne chiuse. Renzi voleva che il referendum fallisse, ha invitato all’astensione e ha ottenuto il suo scopo: del resto la consultazione era stata organizzata per dare uno schiaffo a lui e al suo governo più che per sollevare una questione (residuale) dell’agenda energetica. Ma lo schiaffo non c’è stato, l’assalto è andato male e a Palazzo Chigi si brinda. Domani in Parlamento verranno agevolmente bocciate le mozioni di sfiducia al governo presentate dalle opposizioni dopo il «caso Guidi» – non casualmente scoppiato alla vigilia del referendum da un’inchiesta sempre su questioni petrolifere. Boomerang per gli anti renziani, soprattutto quelli del Pd, e dunque vittoria per il premier che ha saputo dimostrare anche coraggio nello sfidare un fronte molto ampio. Ma domani, dopo questa vittoria, cosa accadrà?

Dal punto di vista di chi non è riuscito a darlo quello schiaffo – lista lunghissima degli sconfitti che comincia con il governatore pugliese Michele Emiliano, sempre più tentato di vestire i panni del competitore del segretario Pd, e prosegue con la minoranza democratica, nove governatori regionali, i Cinque Stelle, l’estrema sinistra, la Lega, quasi tutta Forza Italia, Fratelli d’Italia, parecchi giornali, una televisione per intero, molte celebrità assortite, e associazioni di ogni tipo – questo fallimento può anche costituire una speranza. Nel senso che la consultazione «No triv», pur deragliando, ha tastato il polso a quegli italiani che dicono no a Renzi e no alle riforme costituzionali, su cui in ottobre ci sarà, e ben più importante, un altro referendum. Quello su cui il premier punta tutto: «Se perdo me ne vado a casa», ha detto. E ora i suoi tanti nemici sanno di poter contare, per mandarlo davvero a casa, sul voto di tutti coloro i quali ieri sono andati alle urne – il 30 per cento dell’elettorato – meno evidentemente chi ha votato «no». È chiaro che gli elettori, quando si tratta di scegliere un partito, vanno ognuno per proprio conto, ma quando vedono indicare un nemico comune, non hanno certo dubbi. Quella è dunque l’Italia politica che i renziani dovranno battere se vorranno consolidare la loro egemonia nel Paese.

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