Economia di governo
Promesse e numerini

Secondo Tria, va bene così. Il Pil è crollato quasi a zero, ma non occorrono correttivi. Vietato, sotto elezioni, parlare di manovra aggiuntiva, patrimoniale, aumento Iva pur già preventivato. Anzi: semaforo verde alla riduzione delle tasse, senza preoccuparsi della contraddizione tra aliquota piatta e progressività. Un futuro radioso, ma in soli tre mesi e mezzo sono stati aggiunti 28 miliardi al debito, facendolo salire al 132,8% del Pil. È il biglietto da pagare per un selfie tra promesse e «numerini».

L’avevano definita una manovra «espansiva» perché metteva nel circuito i 7 miliardi del reddito di cittadinanza (per quota 100, solo le liquidazioni parziali). E guai a chi lamentava, come Confindustria e Cisl, che allo sviluppo erano state lasciate le briciole. Gente dal cuore duro, che ignorava la povertà proprio mentre la si poteva abolire per decreto…

Ora è invece il Def firmato dal governo, non dai gufi, che ci racconta la nuda verità: le due misure bandiera, quelle che «mantengono le promesse», e lasciano perdere bazzecole come il lavoro, gli investimenti e l’occupazione, non danno sviluppo, e (tabelle Def) ridurranno il tasso di occupazione di 0,2 punti e aumenteranno la disoccupazione di 0,3. Del resto, come creare occupazione se si decide di sussidiare quelli che non lavorano e mandare prima in pensione quelli che lavorano? I pensionati non possono essere sostituiti automaticamente da giovani alla prima esperienza. In tempi buoni, il tasso di sostituzione è di 1 su 3, ma da noi – unici in Europa – è arrivata la recessione.

Avessimo almeno speso tutti questi soldi per fare davvero il famoso cambiamento, la cosa avrebbe un senso. Invece la Fornero è intatta, ci siamo regalati un paio di condoni, il reddito rischia di perdere la partita con il lavoro nero, la tassa, per non costare uno sproposito, richiede cancellazioni che susciteranno resistenze furibonde.

Conte osserva che è sbagliato fermarsi al primo semestre perché da giugno fioriranno le rose, ma Tria ribatte che occorrerà un gran secondo semestre già per stare a livello +0,2. Il pensoso Toninelli, in Tv, ci fa notare che era già stato detto che le misure chiave erano finanziariamente insostenibili. Invece sono state fatte. E allora sarà realizzato anche il rilancio per il 2020 che oggi sembra impossibile, anzi si troveranno i 46 miliardi (per Iva e tasse ridotte) da aggiungere a quelli correnti. Il bello del Def è che non deve parlare di coperture. C’è cosi chi ancora attende i 70 miliardi di sprechi e privilegi da tagliare in poche settimane, previsti nella campagna elettorale 2018.

Ma c’è una differenza tra il primo giro, a governo appena avviato, e il secondo, quello da percorrere con il nuovo debito sul groppone, 5 miliardi di interessi aggiuntivi da pagare, e il più alto spread del continente (sta allargandosi quello con Portogallo e Spagna, altro che Germania…).

Al secondo giro, innanzitutto potrebbe mancarti la compattezza della maggioranza parlamentare se i risultati elettorali sono diversi tra le due componenti, ma soprattutto sono i creditori che ti chiedono il conto. Con 2.363 miliardi di debito, in crescita, sono loro – i creditori – il vero ostacolo al libro dei sogni. Salvini e Di Maio sperano che dopo le elezioni sia possibile scorrazzare tra nuovi debiti, perché cambierà secondo loro la geografia politica dell’Europa, ma sbagliano innanzitutto perché un’Europa sovranista sarebbe ancor più esigente verso l’Italia. Meglio quella tradizionale, più sottilmente politica.

Ma chi ha in mano il nostro debito, e vede le nostre Banche stracolme di titoli deboli, non fa ragionamenti politici. Saranno i mercati, liberi di decidere quali speculazioni sono più attraenti e convenienti, ad aggredire un Paese che fa debiti per coprire spesa corrente e per abbassare le tasse. Troppo facile.

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