Economia europea
Germania padrona

Per capire la Germania bisogna andare in Cina. L’Europa per i cinesi non esiste, esistono gli Stati. E la Germania è il numero uno. La Repubblica Popolare è il primo partner commerciale di Berlino per importazioni e questo ha il suo peso. Ma decisiva è la considerazione che si ha dei tedeschi: agli occhi di Pechino gli unici in grado di determinare l’indirizzo della politica europea. Un’alleanza strategica con l’Europa in versione anti Trump è nei desideri della classe dirigente, da qui l’attenzione per Angela Merkel, l’unica in grado di garantire il giusto grado di avversione alla politica della nuova amministrazione americana.

Appare quindi in tutta evidenza un’egemonia che in Europa fatichiamo, per eccessiva vicinanza al fenomeno, a percepire in tutta la sua portata. Siamo soliti lodare il sistema produttivo italiano e con ragione: secondo la Camera di Commercio italo-tedesca di Milano gli scambi commerciali tra la Lombardia e la Germania corrispondono in termini aggregati a quelli che la Repubblica federale ha con il Giappone. Il Veneto vale di più per l’import export del Brasile, e via di questo passo. La testimonianza che è in atto un’integrazione verso il cosiddetto sistema allargato tedesco. Le imprese italiane esportano prodotti funzionali al prodotto finito che va sul mercato con il marchio made in Germany mentre i vari componenti vengono dalla rete produttiva che l’economia tedesca si è costruita in Europa.

Il sistema ha il suo terminale in Germania mentre gli altri contribuiscono a che abbia successo. Non è un caso che in occasione del calo di vendite a seguito della manomissione dei dati per le emissioni dei fumi di scarico diesel l’allarme si sia esteso anche in Italia dove molte aziende sono subfornitrici di Volkswagen. Se le cose vanno male al di là delle Alpi le ripercussioni le sentiamo subito anche qui. Si chiama sistema integrato con una piccola precisazione: le redini le tengono ben salde a Berlino. Una configurazione di questo genere ha un vantaggio economico evidente ma non garantisce la certezza istituzionale che un interlocutore come la Cina vorrebbe avere. Chi garantisce che un Paese ad alto debito come l’Italia non soccomba alle imprevidibilità della sua politica politicante? La Germania è nel cuore del sistema ma diventa vulnerabile se i suoi partner non sono in grado di garantire la stabilità necessaria.

Nel frattempo anche il panorama politico tedesco ha subito scossoni con l’avvento in parlamento di quasi cento deputati del partito di destra estremista e in parte xenofoba Alternative für Deutschland (AfD). Forze anti immigrati ma soprattutto anti euro che si faranno sentire. Anche perché nella coalizione con i cristiano democratici e i verdi i liberali sono quelli che si oppongono a politiche di apertura per i Paesi del sud. L’ipotesi di un nucleo forte di paesi del nord con l’aggiunta della Francia torna di nuovo sul tavolo. Conviene alla Germania? No, perchè la credibilità tedesca funziona solo se in grado di dare un’immagine di Europa unita. L’aspirazione di Angela Merkel di svolgere un ruolo a livello mondiale troverà realizzazione quando il Paese darà di sé l’immagine del federatore. Le proposte del presidente francese per un esercito europeo e una maggiore integrazione vengono confermate dalla fusione di Alstom con Siemens per la costruzione dei treni di alta velocità. L’Italia aveva il pendolino ma l’ha venduto ai francesi. Una cosa è certa: per l’Italia i tempi degli esami non sono finiti. Ma non tutto il male vien per nuocere: solo sotto la minaccia di un’emergenza il Paese dà il meglio di sé.

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