Fermate l’Italia
Voglio scendere

C’è un vecchio film che si intitola «Quel pomeriggio di un giorno da cani». Immaginate per un attimo che sia il vostro, il nostro pomeriggio. Siete in ufficio, e date un’occhiata alle notizie sui siti web; siete studenti appena usciti da scuola, accendete lo smartphone e controllate cosa «è di tendenza» sui social; siete mamme che vorrebbero insegnare ai loro bambini che la vita è una cosa buona.

Be’, ieri forse vi sarebbe venuto da esclamare, come in un’altra vecchia commedia: «Fermate l’Italia, voglio scendere!». Un elenco a caso, e senz’altro incompleto. Al mercato della Kalsa, quartiere non proprio residenziale di Palermo, i banditi rapinano una bancarella, arriva la polizia ma la gente circonda gli agenti e aiuta un rapinatore a fuggire. A Licata, zona commissario Montalbano, i cittadini si ribellano all’abbattimento delle villette abusive e denunciano il sindaco. All’ospedale di Lucca un uomo è entrato in sala operatoria per farsi asportare un rene malato, ma gli hanno tolto quello sano (distratti). Chiamatelo, se volete, senso della legalità. Oppure chiamatelo senso civico, senso del rispetto delle cose (e persino della vita) degli altri.

Però intanto (sempre notizie di ieri) il Fisco ci informa che ci chiederà l’amicizia su Facebook per controllare meglio i nostri conti attraverso le nostre attività e relazioni sociali. Invece il Tribunale dei minori di Roma ha riconosciuto a due donne civilmente unite l’adozione incrociata dei loro tre figli, nati da altre precedenti unioni: sempre in attesa che venga fatta una legge in materia (la «stepchild adoption» non era stata vietata dalla legge sulle unioni civili?). Chiamatelo, se volete, il sopruso impazzito della Legge che da una parte invade sempre di più il campo della nostra privacy, compreso se possiamo fumare o no nell’abitacolo della nostra automobile, e dall’altro è pronta a riconoscere qualsiasi nostro desiderio, trasformandolo in un diritto universale, anche a costo di calpestare il principio di realtà.

Poi ci sono i nostri «mi pare e piace», i nostri istinti spesso sempre più belluini, che diventano soprusi, violenze. Sulle indagini di pedofilia preferiamo andare cauti – troppi ne abbiamo visti di «mostri» che poi non lo erano -. Ma se fosse vera anche solo la metà della storia della bambina di sei anni di Caivano, che si chiama Fortuna, che sarebbe stata buttata da un balcone perché si era rifiutata di essere ancora una volta abusata, altro che un giorno da cani, un giorno da lupi.

A Torino tre ragazze si sono fatte un selfie con una compagna di scuola mentre la poveretta aveva una crisi epilettica, e l’hanno girato ai compagni su WhatsApp. Sono state sospese tre giorni. Ma la loro mente a che cosa è sospesa, quale social media se l’è portata via? Qualche giorno fa un ragazzino si è suicidato perché la sua fidanzatina l’aveva mollato, tramite Facebook. Si è buttato di sotto, ma dopo aver debitamente postato su Facebook la fotografia del luogo che aveva scelto per uccidersi.

Ognuno segue solo il suo istinto, ognuno pretende una legge gli dia sempre ragione, tutti gridano che i ladri sono solo gli altri, o i politici. Chiamatela, se potete, «società civile». Ma è soltanto una socialità impazzita. C’è un altro film, anzi un documentario, che fece scandalo cinquant’anni fa per il suo duro cinismo: si intitolava «Mondo cane». All’inizio, una scritta avvertiva: «Tutte le cose che vedete in questo film sono vere. Se spesso saranno scene amare è perché molte cose sono amare su questa terra. D’altronde, il dovere del cronista non è quello di addolcire la realtà, ma di riferirla obiettivamente». Solo che quelle erano immagini di mondi lontani e «selvaggi». Questi, invece siamo noi.

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