Flat tax, ecco quello
che non si dice mai

In questi giorni si sente parlare spesso di «flat tax» o, meglio, se ne sente riparlare dato che questo meccanismo di tassazione viene riproposto in ogni campagna elettorale. La «flat tax» non è altro che un’aliquota di tassazione fissa – si parla del 23% - e quindi proporzionale rispetto al reddito. In soldoni (meglio dire… in tasse) la percentuale sarà la stessa per tutti. Cosa ben diversa dall’attuale meccanismo di tassazione che invece è basato sulla progressività: se guadagni di più la tua percentuale di tassazione è più alta, fino ad arrivare, ad esempio, al 43% calcolato sulla parte di reddito che supera i 75.000 euro.

Sulla carta la flat tax avrebbe un duplice scopo: da un lato stimolerebbe la crescita e lo sviluppo economico (i soldi risparmiati dai contribuenti sarebbero in buona parte spesi), dall’altro servirebbe ad abbattere l’evasione in quanto risulterebbe meno conveniente evadere. Gli intenti sono certamente lodevoli ma questa scelta porta con sé alcune problematiche di non poco conto.

Primo problema: la copertura economica. La flat tax, nei termini proposti, ha un costo collettivo altissimo. Occorre trovare la copertura finanziaria che sembra possibile solo proponendo un condono oppure l’ennesima rottamazione delle cartelle esattoriali; come dire «i soldi per la copertura li troviamo facendo un regalo agli evasori».

Secondo problema: l’efficacia del sistema nella lotta all’evasione. La flat tax, per essere sostenibile, dovrebbe essere pagata da tutti su tutto il reddito. L’evasione, negli intenti dei politici, dovrebbe sparire o risultare fortemente ridotta. Il problema è che il nostro sistema fiscale «convive» con l’evasione e lo Stato ha spesso alzato bandiera bianca dichiarando che l’evasione è strutturale e proponendo strumenti che, spesso, consentono vie d’uscita agli evasori; nell’ottobre del 2015, ad esempio, sono state innalzate alcune «soglie», solamente oltre le quali gli omessi versamenti configurano un reato penale (ad esempio la soglia di punibilità per l’omesso versamento dell’Iva è passata da 50.000 agli odierni, e non pochi, 250.000 euro).

Sembra quindi difficile che la sola proposta di un’aliquota conveniente scoraggi l’evasione. Occorrerebbe un consistente inasprimento delle sanzioni, anche penali. Lo Stato dovrebbe proporsi come un alleato del contribuente onesto trattando con il pugno di ferro il contribuente disonesto; purtroppo ad oggi non avviene né l’una né l’altra cosa.

Terzo problema: la progressività dell’imposizione fiscale, sancita anche dalla nostra Costituzione. Come si può conciliare un sistema di tassazione proporzionale (e quindi non progressivo) con il dettato dell’articolo 23? Secondo i politici, riducendo progressivamente le detrazioni fiscali.

Peccato che le detrazioni siano ben poca cosa rispetto all’imposizione fiscale. Il risultato sarà che il soggetto che guadagna 30.000 lordi con figli a carico e spese mediche subirà una tassazione effettiva ad esempio del 22%; il ricco che guadagna 500.000, con lo stesso numero di familiari a carico e spese mediche, perderà le detrazioni pagando, ad esempio, il 23%; con buona pace della progressività e della Costituzione.

Se poi mettiamo il naso oltre confine, scopriamo che la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Islanda hanno abbandonato la flat tax mentre altri Paesi hanno dovuto, per esigenze di bilancio, aumentare le aliquote.

Il risultato è che al momento la flat tax funziona solo in due «tipologie» di Paesi: in quelli nei quali la tassazione non è un problema (ad esempio nei paradisi fiscali) ed in quelli nei quali se evadi rischi pene severissime, ad esempio in Russia. Lì, vai in carcere davvero.

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