Forza Italia e Lega
armi di lotta e di governo

Confronto costruttivo o dialogo fra sordi? I due appuntamenti in contemporanea di metà mese – il raduno leghista a Pontida e la convention di Stefano Parisi a Milano – segnalano l’inizio di un percorso tutto da scrivere. Già la sincronia dei due eventi indica un’opposizione ed è scontata: l’investitura berlusconiana del manager, e lo stesso «modello Milano» alle ultime amministrative che ha reso competitivo il centrodestra unito secondo la formula di un tempo, pongono il ricostruttore di Forza Italia alternativo alla Lega d’attacco di Salvini.

L’interesse ci sembra più su Milano che su Pontida. Il ritorno a casa sul pratone bergamasco segue flussi psicologici precostituiti da tempo e fissati dai simboli e dai riti: è il momento identitario in cui si raduna il popolo leghista, parlandogli al cuore e ai sentimenti e in cui va fatta la tara ai do di petto dei vari comandanti. Pazienza se nel frattempo la ruspa di Salvini abbia imposto a questa umanità un tempo gagliarda una mutazione genetica che da padana e popolar-popolana, si ritrova nei panni del parente provinciale del lepenismo.

Salvo contrordini, non si vedono all’orizzonte cambi di scena: Salvini, con il suo fare trash, va per la sua strada, solo contro tutti, in un processo involutivo che lo sta conducendo in un vicolo cieco. La relativa crescita elettorale della Lega, sostanzialmente legata al cavalcare le paure per i flussi migratori, s’è interrotta alle ultime tornate stabilizzandosi in discesa e s’è fermata alla Toscana: oltre non tocca palla. Benché Salvini non possa dormire sonni del tutto tranquilli, il format nazionale del movimento non pare però sotto attacco. Mal di pancia, qualche scarto qua e là, ma in superficie niente di più. Neppure dal versante veneto di Zaia. Lo stesso Maroni, la cui linea istituzionale potrebbe soffrirne, guarda sì con attenzione al progetto di Parisi, ma finora non è andato al di là del riconoscimento ovvio che nella Lega hanno sempre convissuto le armate di lotta e quelle di governo.

Di come tornare a governare, invece, ne parlerà il manager di Forza Italia, l’estrema risorsa, l’ultima chiamata di Berlusconi che, ritagliatosi il ruolo di padre nobile, intende rimettere ordine in un accampamento a bassa intensità politica, rissoso e popolato dai tanti colonnelli. La carta Parisi ha senso se può essere giocata sino in fondo, anche al prezzo di qualche strappo doloroso e il pallino, nonostante tutto, resta nelle mani del fondatore: Berlusconi è nelle condizioni di sostenere nuove battaglie, specie contro il fuoco amico? Il manager chiamato a sedare la febbre salviniana ha professionalità, è assai a modo, ha il glamour della convention ma non il nerbo del leader. Deve muoversi in un ambiente domestico che gli è ostile, dove gli apprezzamenti sono più esterni, provenienti dal blocco sociale di riferimento di Forza Italia, che interni. L’obiettivo è recuperare le membra sparse, quel consenso ieri trionfante e da tempo ormai in sonno: smarritosi nell’astensione e andato in prestito ai grillini.

L’elettorato di centrodestra, però, esiste come sa bene Renzi: alcune politiche del governo hanno cercato di pescare in quel bacino, tuttavia lo zoccolo duro berlusconiano, anche quando si sente orfano, non si riconosce nel centrosinistra. Meno chiaro è il profilo di questa «cosa» azzurra: se una rifondazione, una rimessa a punto o un andare oltre Forza Italia. L’offerta politica è il classico progetto liberalpopolare fatto per rassicurare, che vanta un rispettabile pedigree nel Partito popolare europeo, ma che nel ventennio berlusconiano non ha lasciato tracce memorabili. La convention rischia di essere percorsa da una nostalgia retrò, per quanto non espressa, un nuovo mondo che è quello passato, seppur confezionato con eleganza in tempi rumorosi. Una scommessa comunque necessaria per il sistema politico, che deve però misurarsi con i cambiamenti avvenuti nella mente e nella sensibilità degli stessi moderati scappati di mano e verificare se non sia già fuori tempo massimo.

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